Obama visto da una bolognese

Come tutti (eccetto i Gasparri della situazioni e gli italoidioti cresciuti sul suolo nazionale di cui mi vergogno alla grande) sono molto felice per la vittoria di Obama. Come tutti sento che oggi nell’aria ci sono energie positive perché molte speranze, da ogni parte del globo, si sentono confortate e forti.

In un mondo di merda.

Però.

Però mi spaventa un po’ l’investitura messianica che è stata data a questo uomo. Mi spaventa per tanti motivi. Ho letto di lui cose contrastanti: rispetto a Bush è sicuramente un Gesù Cristo in terra (se è per questo, rispetto a Bush anche Moana Pozzi è una monaca di clausura!) e sono certa che i suoi ideali sono affini ai miei. Ma da quel che la mia testolina ha capito sono numerosi i patti a cui è dovuto scendere per arrivare alla Casa Bianca e forse la tanto auspicata ritirata dall’Iraq è uno di questi.

Mi dà l’impressione, ma prendetelo come il parere della mamma cialtrona, che per richiamare elettorato si sia spinto più a destra di quanto non avrebbe dovuto per mantenere fede al suo ideale.

E qui torniamo al titolo di questo post. Ricordo bene come fu accolto Cofferati quando si candidò a sindaco nella nostra città, un luogo per anni gestito dalla Sinistra e passato in mano a Guazzaloca nel 1999. Il mandato del Guazza produsse un duro colpo all’anima di questa città: molte cose cambiarono e da simbolo di cultura ci trasformammo in città votata al commercio e guardiana dei bisogni dei vecchi ricchi e provinciali che abitano il nostro centro storico.

Come ora per l’America c’è un afroamericano, noi allora – precursori in molte cose – avevamo un candidato Cinese. Lui promise molte cose. Promise di ristabilire alcune priorità che dovevano essere capisaldi per una città come Bologna, dove l’Università, gli studenti e un tessuto sociale basato sull’indotto procurato da una gran quantità di giovani che si stabiliscono qui sono il tratto distintivo. Dove la tolleranza, l’integrazione e il diverso hanno sempre tentato di convivere proprio grazie al polmone giovane e acculturato che anima Bologna.

Lui promise molte cose e noi lo votammo in massa. Corremmo alle urne. Grati a questo salvatore della nostra piccola patria civica. Stanchi del Macellaio, ci sentivamo perfin onorati che Sergio avesse scelto la turrita per dimorarvi e per entrare in politica.

Lui vinse. Mi ricordo anche la festa, mi ricordo. C’era chi piangeva, chi faceva volare in aria fuochi d’artificio e chi esultava per la rinconquista del feudo rosso.

Poi si trasformò nel prototipo del sindaco sceriffo. Appiattì le peculiarità che nel passato hanno reso Bologna una città d’eccellenza. Ha fatto più danni della II guerra Mondiale.

Ma soprattutto – e forse questo gli perdonerò meno di tutto – ha sporcato un’idea. Ha dimostrato come si possa credere e lottare per qualcosa fin quando non la si tocca e la si può lasciare morire perché è nostra.

Insomma. Da bolognese, io non voglio nemmeno smorzare gli animi, ma non riesco a essere piena di quell’esultanza che vedo negli occhi degli altri, che leggo nella blogosfera e che percepisco sentendo i commenti alla radio.

C’ho paura. C’ho paura che poi domani ci svegliamo e che si, il ritiro dall’Iraq si può fare ma (facciamo un esempio) ci sono cose più urgenti e intanto il mondo va in malora e noi siamo ancora tutti lì a ricordare questa giornata in cui abbiamo pianto davanti alla televisione.

Che io poi, di fronte alla speranza piango pure. Che io poi non sono così cinica da non sognare che oggi sia l’inizio di un mondo migliore. Che io poi questa cosa del primo afroamericano la sento come un bellissimo segnale, se contiamo che tra i sostenitori del suo avversario guerrafondaio ho sentito degli ignorantoni dire che loro non possono essere goveranti da Barak (sottointendendo che non è giusto da un punto di vista razziale).

Che io poi ci spero che Cinesi e Afroamericani siano diversi.

Ma intanto rimango con i piedi attaccate alle scarpe e le scarpe saldamente attaccate a terra grazie ad una enorme big babol spiaccicata.

(ci sarebbe molto da dire su quanto gli americani si sono dimostrati in gamba in questa occasione, su quanto sia diverso il modo di reagire alla sconfitta del guerrafondaio se pensiamo al nostro Stato di banane e su quanto Gasparri dovrebbe ammettere che gli hanno fatto un elettroshoc da piccolo – che si vede dall’occhio sveglio – e uscire dalla scena politica, ma lascio agli altri che io ho già detto abbastanza.)

6 commenti
  1. zazie dice:

    Io sogno un presidente che non finisca il suo discorso con “God bless you”, ma in fondo io utopisticamente sogno un posto senza presidenti di alcun tipo. Quindi per il momento mi accontento, che poteva andare molto molto peggio.

  2. Primula dice:

    Ho persino paura di sperare che un po’ e cose cambino e che questa sia veramente l’inizio di una nuova era. Invidio gli americani per quello che sono riusciti a fare alle loro menti, perchè non avere una storia a volte aiuta a superarla e a scriverla. E più invidio e ammiro loro (anche se ci hanno messo un po’ eh, si sono votati e rivotati Bush!!) più mi schifano gli italioti che votano e si rivotanto e si rivotano ancora il nano malefico che Barak o non Barak a noi ce la mette sempre e comunque in quel posto!

  3. Chiara dice:

    Ti dirò, di mortificarmi e disperarmi non passa giorno che l’informazione non mi dia ragione. Se per qualche ora posso gioire per il primo afroamericano alla Casa Bianca, anche fosse solo una bella e insperata fotografia, perchè guastarmi la festa? Tanto il giorno dopo (oggi) c’è Gasparri…

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