Elogio della lentezza

Sono stanca di correre sempre da un posto all’altro – anche perché pare non serva a nulla rispetto al consumo calorico 😉 – sono stanca di dover costantemente consultare l’agenda per sapere dove dovrò essere un’ora dopo, che lavoro devo iniziare e con chi devo parlare e blablabla.

Sono stanca, ma la mia vita – e non solo la mia – è così: si arriva a 30 anni che se si vuole almeno tentare di fare quello che ci piace e per cui si è studiato tanto, bisogna imparare a correre.

E dal momento che io ho anche deciso di provare a fare la libera professione, e dunque devo sempre stanare il cliente dietro lo sguardo dell’uomo (;-), succede che a volte non possa smettere di correre per tutto il giorno – almeno mentalmente – da un posto all’altro, da un incarico all’altro e da un pensiero a quello successivo fino al momento di andare a dormire.

Mi ripeto che sono all’inizio e che devo tenere duro fino a quando tutto si assesterà e sarò più tranquilla, ma se mi guardo intorno vedo milioni di persone che corrono, qualsiasi età e incarico abbiano.

Ora non voglio fare la snob, sono consapevole dei vantaggi in termini professionali insiti nel correre, però a volte mi mancano i lunghi pomeriggi da studente al bar, o meglio ancora al parco a guardarmi intorno.

Mi manca lo sguardo curioso sul mondo, e non parlo dei macroeventi ma anche del brulicare quotidiano della vita che mi ha sempre creato un certo interesse.
Io adoro entrare in un bar, in centro, in un pomeriggio di autunno e prendere un caffè con un’amica per raccontarci la vita. Vado matta anche per le sessioni in libreria, da sola, sotto le 2 Torri da Feltrinelli, che quando esci sei in mezzo alla città e puoi decidere di farti una passeggiata nel vecchio ghetto, così bello e colorato e pieno di piccole botteghe ferme nel tempo.

Adoro anche andare per parchi con un libro e fermarmi a guardare i cani che corrono e i fiori che sbocciano.

E poi, il rituale dell’aperitivo, che ho imparato ad amare soprattutto quando abitavo a Milano: con poche lire bevi birra e mangi qualche schifezzina che ti mura lo stomaco fino al giorno dopo, così da farti credere di essere davvero furbo, perchè sei stato in grado di nutrirti con 2.50 € !!

Tutte cose che mi sforzo di fare ma senza il lusso del tempo da organizzare in diretta.

E invece, a volte è davvero meraviglioso prendersi il tempo per rallentare la propria vita, per alzare gli occhi e guardare il cielo, i palazzi del centro e le lucine del natale.

A volte bisogna prendersi la responsabilità di spegnere il cellulare e godersi un pomeriggio a panza all’aria, al sole, alla pioggia, in un bar o al parco.

Detto questo non vi sembrerà strano che, per indole, tenda a prendere appuntamenti giornalieri di lavoro che non mi facciano arrivare in ogni dove stramazzante e sempre sul pelo dell’orario stabilito; certo – starete pensando – è facile visto che sei all’inizio, ma se vuoi che le cose vadano sempre meglio, dovrai abituarti anche a questo. Vi rispondo che per il momento voglio provarci, a mantenere una soglia di attenzione alle cose, non costantemente irrigimentata dal tempo e dalle scadenze.

La settimana scorsa avevo un appuntamento di lavoro in centro: un lavoro grosso, per un’Istituzione importante. Dovevo vedermi con una persona e avevamo appuntamento nel suo ufficio, in un antico e signorile palazzo, di quelli con scale nobili, portieri in giacca e cravatta e affreschi dei Carracci al soffitto.

Il buon fato ha voluto che mi liberassi presto da un impegno precedente e così ho avuto un’ora intera tutta per me, per girovagare in libreria, mangiare una pizzetta nel bar del centro che preferisco per questo genere di attività e fare una passeggiata nella piazza che trovo più bella di Bologna.

Mancavano 20 minuti ed ero in giro per questa piazza, davanti alla sua chiesa e tra i palazzi medievali fregiati che la incorniciano; stavo bene.

Tenete presente che mi ero vestita “carina” per quanto si possa fare con la mia taglia e la mia assenza completa di gusto in fatto di abbigliamento; mi ero messa le scarpe buone e anche la gonna. Mi ero perfino truccata!!!

Mentre ero lì che passeggiavo sotto il portico, immersa nella beatitudine delle cose antiche – che a me danno un gran senso di pace – sono scivolata su qualcosa di ben più moderno e …fresco!!!!!

Si – avete già capito – proprio quello, e con tutti i sacri crismi ( o clismi che nel caso specifico si addice 😉 della situazione ideale: sono scivolata su una bovazza di cane, di quelle un po’ squacquere, appena cacata da non so quale razza di mastodonte.

E per fortuna ho avuto il tempismo di sbilanciare il mio corpicino in avanti, perché se no finiva anche il mio culone sul ricordino dell’odioso animalaccio!!! (anche se – a onor del vero – tutto il mio odio va al padrone dell’elefante colitico al quale ho augurato di farci il bagno dentro, uno di questi giorni).

Insomma, il tempo che si era fermato ha ricominciato a scorrere velocemente e dalle mie beatitudini, sono stata rispospinta sulla terra, puzzolentemente e con velocità.

Cosa fare? come pulirsi da cotanta squacquerella in un’affollata piazza di Bologna? come evitare l’insozzamento della finissima moquette rossa che fa tanto sembrare un hotel di lusso le scale del nobile palazzo in cui sarei dovuta andare a breve?
Come dare l’impressione di una professionista consapevole e in grado di fornire servizi di qualità mentre si ammorba l’aria con ciò che resta di crocchette Viscas digerite???

Ho trascorso i restanti 20 minuti a camminare quasi come una sciancata, senza sollevare la scarpa incriminata e lasciando dietro di me una scia marrone che tentavo di dissimulare con un fare convinto e noncurante. Mi sono prima nascosta nell’androne della chiesa – e i cattolici non me ne vogliano – e ho finito il pacchettino di salviettine intime che mi porto sempre dietro tentando di pulire la scarpaccia: a seguito della mia iniziativa, credo che la chiesa sappia ancora di mentolo e malva, neanche fosse la succursale della Infasil.

Successivamente, finite le salviette, non ancora nettata del tutto la scarpa, sempre con la nonchalance che mi distingue, mi sono diretta alla vicina piazza fontanofornita e nel qual luogo ho cercato di finire lo sporco lavoro, tra chi si era lì fermato in pausa pranzo per mangiarsi un panino in santa pace.
Per completare il quadro dissimulatorio, sono riuscita a pulirmi la scarpa sotto la fontana mentre facevo finta di leggere il giornale, dando così l’impressione di sapere esattamente cosa stessi facendo…la qual cosa, nel mio caso, non è quasi mai vera!.

A quel punto era giunta l’ora della professionista: non potete capire la paura di lasciare traccia del mio passaggio sulle scale e, successivamente, il terror panico di profumare l’enorme ufficio in cui mi sono trovata a presentare il mio lavoro!!!
Per non pensare a ciò che custodiva segretamente la mia suola mi sono così messa a parlare talmente concitatamente e con toni così appassionati, che alla fine ho ottenuto una buona prestazione ed è andata proprio bene, tanto che il cliente mi ha pure imposto il tu, contento di quanto fossi presa dal progetto.

Sono uscita chiedendomi se dopo di me lui abbia aperto la finestra…

Da questa storia ho imparato che è molto postmoderno elogiare la lentezza e tutti i suoi vantaggi in termini di qualità della vita e che è vero che non bisogna farsi fagocitare dallo stress, ma ATTENZIONE a guardare dove si mettono i piedi quando non si è stressati e di corsa…