Leggere favole sui luoghi di memoria

Chiesa di Caprara di Montesole

Cosa sono i luoghi di memoria?

I luoghi di memoria sono posti in cui un evento tragico ha segnato indelebilmente la geografia delle emozioni, la storia dell’uomo e la simbologia collettiva. Il word trade center è un luogo di memoria, così come la stazione di Bologna, Piazza Fontana, Capaci, il cielo sopra Ustica, Auschitz, Montesole di Marzabotto, le fosse Ardeatine, le Foibe e mi fermo qui, perché tanti e troppi sono.

Recentemente sono stata un’intera settimana a Montesole di Marzabotto, dove tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 furono uccisi dai tedeschi 800 civili, tra donne, vecchi e bambini.

A Montesole, insieme ad Archivio Zeta e alla Scuola di Pace abbiamo riflettuto sulla zona grigia e su come si sta nei luoghi di memoria.

E vi giro la domanda che loro hanno fatto a tutti noi che partecipavamo al seminario.

Come si sta nei luoghi di memoria?

 

Il modo a cui siamo abituati è fatto di contrizione silenziosa. Ma siamo sicuri che non ci siano anche altre alternative “costruttive”?

Forse la parola può diventare anche AZIONE e RIFLESSIONE per esplorare proprio quella zona grigia che è l’agguato dell’essere umano, dietro ad ogni nostro angolo.

Io penso che si possa stare sui luoghi di memoria anche con le favole.

Con le risate dei bambini. Con parole lette a voce alta, perché si mischino al suono della natura e al tempo che corre e insieme è fermo.

Si può imbracciare un libro di Gianni Rodari, come per esempio Le favole al telefono , nate per essere raccontate “a distanza” – collegati dal filo invisibile dei cavi telefonici – e farne un modo attivo e consapevole per essere lì con i bambini.

Si prende una coperta larga e la si stende per terra. Ci si siede.

Si apre il libro, ci si abbandona in un momento di silenzio e concentrazione e si comincia a leggere.

Ascoltando il vento. Le domande di tuo figlio. I rumori della natura che va.

La lettura a voce alta conferisce un peso specifico alle parole e alle pause. Invita a prendere posto ad un immaginario désco a cui partecipano convitati che attraverso l’intonazione della voce prendono corpo.

E così la magia e la potenza della parola si dischiude.

E ci si può riempire i polmoni di aria e parole e voci.

E una favola come Il paese con l’esse davanti diventa un mondo che inizia e finisce, vive e rivive.

Giovannino Perdigiorno era un grande viaggiatore. Viaggia e viaggia, capitò nel paese con l’esse davanti.

– Ma che razza di paese è? – domandò a un cittadino che prendeva il fresco sotto un albero.

Il cittadino, per tutta risposta, cavò di tasca un temperino e lo mostrò bene aperto sul palmo della mano.

– Vede questo?

– E’ un temperino.

– Tutto sbagliato. Invece è uno «stemperino», cioè un temperino con l’esse davanti. Serve a far ricrescere le matite, quando sono consumate, ed è molto utile nelle scuole.

– Magnifico, – disse Giovannino. – E poi?

– Poi abbiamo lo «staccapanni».

– Vorrà dire l’attaccapanni.

– L’attaccapanni serve a ben poco, se non avete il cappotto da attaccarci. Col nostro «staccapanni» è tutto diverso. Lì non bisogna attaccarci niente, c’è già tutto attaccato. Se avete bisogno di un cappotto andate lì e lo staccate. Chi ha bisogno di una giacca, non deve mica andare a comprarla: passa dallo staccapanni e la stacca. C’è lo staccapanni d’estate e quello d’inverno, quello per uomo e quello per signora. Così si risparmiano tanti soldi.

– Una vera bellezza. E poi?

– Poi abbiamo la macchina «sfotografica», che invece di fare le fotografie fa le caricature, così si ride. Poi abbiamo lo «scannone».

– Brrr, che paura.

– Tutt’altro. Lo «scannone» è il contrario del cannone, e serve per disfare la guerra.

– E come funziona?

– E’ facilissimo, può adoperarlo anche un bambino. Se c’è la guerra, suoniamo la stromba, spariamo lo scannone e la guerra è subito disfatta.

Che meraviglia il paese con l’esse davanti.