Il peso specifico degli avverbi di tempo

C’è che in questo ultimo periodo, non sono stata tanto bene. Intorno a me succedono delle cose brutte che hanno a che fare con la morte e allora io – che la parola morte mi ha sempre fatto una paura della miseria – mi metto di continuo a vivere.

Solo che anche la parola vivere mi ha sempre messo una gran paura, per la verità, e così a pensare  a vivere e morire, mi è sempre venuto un gran batticuore, dovevo fermarmi, magari dormire, per smettere di pensare troppo a questi concetti, che fuori da loro non esistono.

Ma per via che quando la morte ti passa accanto tu puoi guardarla in faccia, sulla faccia delle cose e delle persone – non dico mica direttamente quella dei morti – allora è come se d’un tratto, in quei periodi come questo, la morte diventasse meno astratta.

E anche la vita. Di conseguenza.

Vivi anche quando dormi, in periodi come questo.

E ti viene voglia di fare molte cose, ti viene voglia di ridere più del solito e l’orologio, non riesci mica più a guardarlo pensando a cosa farai domani ma solo a quello che vuoi fare – e speri di riuscirci – tra un’ora. E in periodi come questo, che c’è sempre un dopo e sempre un prima, si diventa pure più intolleranti a ciò che non vogliamo, a quello che non siamo, alle parole vuote e anche alle etichette.

Io per vivere, in questo periodo, quello che faccio è prima di tutto leggere. Che suonerà strano, che uno vivere, dovrebbe prima di tutto vivere, ma a me è venuta così. Poi mi sono pure iscritta al corso elementare di scrittura emiliana di Paolo Nori, per vivere, in questo periodo.

E invece di scrivere, a me andare a sto corso, mi fa venire soprattutto voglia di leggere. E di studiare le biografie degli scrittori. Non so perché, ma mi sono guardata tutti i video che ci sono su Youtube di Zavattini, che io non lo conosco tanto bene ma mi è venuta voglia di leggerlo e anche di guardarlo.

Io per vivere in questo periodo guardo intorno. Per vivere non riesco a stare zitta. Per vivere devo andare a pranzo dai miei amici che abitano al piano di sotto e per vivere devo passare 2 ore a osservare mia figlia che fa le capriole sul letto e vuole che io faccia la giuria e le assegni dei voti che non sono mica voti numerici ma delle lettere. Se fa una capriola fatta bene prende tre B che significa che il voto è “3 Budini”, se invece fa una capriola fatta male, magari che scantona di lato, allora prende 2 S che significa 2 spaghetti. E noi, per vivere, in questo periodo facciamo delle gran capriole sul letto e io urlo Budini! più spesso e Spaghetti meno spesso. Spaghetti lo urlo sfumato, un po’ come se fosse una lamentela, mentre Budini è un lampo nel cielo, un attimo di gioia che sprizza con il punto esclamativo.

Le cose che fanno più paura, a me, che sto vivendo e non in concetto ma in concreto (mentre fuori da questi periodi la vita è un concetto) son quel prima e quel dopo di cui parlavo. Insomma, anche quelle due paroline, in questo periodo, sono diventate pesanti, nel senso che me le sento proprio addosso, sento che hanno un peso specifico che non avevano.

“Prima sono andata a una riunione, ora lavoro, dopo vado a prendere la Silvia” è per esempio una frase usuale, che io la dico sempre, per esempio al telefono con Tino. Non so, ma adesso è come se – nel dire frasi così – tutte le parole si scandissero per bene, come se ognuna avesse un suo piccolo peso, un suo grande peso e un suo peso medio. E allora prima di dirla, a me viene da pesarla sulla bilancia e mi accorgo che per esempio Silvia pesa tantissimo, ma anche prima e dopo hanno un loro peso mistico, un peso che non riesco a pesare e che bisogna scandire bene tra i denti.

E adesso penso a cosa sarà dopo.

Perché c’è sempre un dopo.

E in periodi come questo uno lo vede che c’è un dopo, solo che non sa mica se sarà solo un avverbio di tempo.