Di mamma ce n’è più di una

L’ultimo libro di Loredana Lipperini ha un titolo autoesplicativo: Di mamma ce n’è più di una.

A Bologna è stato presentato ieri ma io sto uscendo da un’influenza particolarmente pesante e purtroppo non sono potuta andare ad ascoltarla. Mi sarebbe piaciuto per molti motivi. Stimo molto Loredana e di questo libro ne abbiamo parlato un giorno di ottobre del 2011 a Ferrara.

Ci siamo scambiate pure qualche mail in proposito e le ho raccontato la mia esperienza di mamma blogger “pentita” e che si sentiva strangolata da un’etichetta che ai miei occhi, oggi, dipinge soprattutto un mondo molto granitico, un po’ fashion e tradizionalista e che ha più a che fare con il marketing che con la possibilità di portare punti di vista dialettici e variegati sulla condizione delle donne in Italia.

Senza fare di tutta l’erba un fascio e senza demonizzare il marketing (nel quale per altro anche io lavoro), credo che le grandi potenzialità di quello che poteva essere un movimento d’opinione sociale si siano un po’ ridotte a dinamiche da focus group condite da grandi aspettative professionali  riposte in 2 o 3 persone verso le quali non si può essere critiche per paura di una “epurazione” che tocca non solo un ambito potenzialmente professionale, ma anche personale, in quella cerchia allargata di “amiche” virtuali che genera la Rete e che in certi momenti della vita ci fa sentire capite, protette e sicure.

Loredana ha inserito in un capitolo del suo libro questo mio vecchio post  che oggi forse scriverei un po’ diversamente ma che sostanzialmente è ancora molto aderente a quello che penso e che ha generato eventi estremamente chiarificatori (credo di aver chiuso almeno 5  pseudo “amicizie virtuali” per quel che ha scatenato, ma forse sono anche di più e in ogni caso si trattava di rapporti evidentemente fondati su un dooping emotivo  da etichetta rassicurante).  Nel libro c’è anche un pensiero che fa parte dello spettacolo “La rivincita del calzino spaiato” e che è in un altro post/manifesto 

Quando le nostre nonne sfornavano figli come conigli, essere mamme faceva parte della vita. Ora sembra che ti abbia unto il Signore! Sembra che ti abbiano messo a parte di un segreto che puoi condividere solo con gli altri eletti, che se no ti rubano il copy.

Il libro di Loredana NON è un libro sulle mamme blogger, sia chiaro, ma un libro sul modo in cui viene percepita la maternità, l’essere madre e il ruolo sociale della mamma in Italia, di quali sono le spinte centrifughe tra mito della famiglia tradizionale, donna in carriera e mamma equilibrista.

Il libro di Loredana racconta tutte le donne, quelle che i figli li vogliono, quelle che li hanno, quelle che non li hanno, quelle che non li vogliono. Parla della relazione tra uomo e donna, di come l’essere madre sia diventato, nel tempo, status sociale per alcune, di come questo status sociale – assunto da marketing, pubblicità e comunicazione – si sia evoluto e abbia assunto precise connotazioni, in una scelta minima di etichette che non lascia spazio alla diversità della singola persona.

Parla di come il ruolo di madre sia uno dei punti critici su cui si gioca la rete femminile di aiuto e comprensione. Perché ancora troppo spesso:

Chissà come mai, ma quando si parla di donne, e soprattutto di maternità, si tende ad arrogarsi il diritto di parlare a nome delle altre.

E’ un libro che contiene tante cose. Ecco alcune che hanno colpito me, la mia sensibilità, il mio modo di essere persona. Alcune che mi hanno fatto riflettere.

Figli oggetti di consumo

Che piaccia o meno i figli sono diventati “anche” un oggetto di consumo, una delle emanazioni del “voglio averlo e lo avrò”, un rispecchiamento ulteriore dello “you” che siamo diventati

Anche i figli oggi sono “tutti intorno a te” o meglio, noi siamo tutti intorno a loro per procacciargli non benessere ma FELICITA’:

Se un tempo il sogno americano e la ricerca della felicità consistevano nel perseguire un complessivo appagamento, oggi si sono trasformati nell’idea che si debba essere felici sempre e in ogni ambito.

Ipermedicalizzazione o ipernaturalizzazione

La mia ‘impressione – leggendo il libro, ma non solo –  è che quando una coppia scopre di aspettare un bambino, cominci già ad imporsi un dualismo di modelli legato all’ambito medico/parto.  Da una parte c’è una forte spinta alla medicalizzazione avanzata della nascita, dall’altra una spinta altrettanto forte (e subdola) alla ipernaturalizzazione della stessa.  I messaggi sociali che arrivano alla futura mamma sono comunque forti e colpevolizzanti.

Il senso di colpa

Lo schivare, allontanare, gestire il senso di colpa (che torna come un mantra) è il filo rosso che accomuna ogni madre in Italia e ogni donna che non ha voluto essere madre. Il senso di colpa sembra – in certi casi – il collante che lega donne/madri in gruppo e le mette contro altre donne/madri o donne non madri.

Mamme, marketing, web

Il mommy-blogging è un fenomeno straordinario: ma insieme ai lati positivi (la solidarietà tra madri, la condivisione delle problematiche, l’aiuto reciproco) ha i suoi cuori di tenebra. Non ultimo, l’ulteriore mitizzazione della maternità. (…) Dunque, la famosa mamma imperfetta, giustamente difesa contro il modello della madre sacrificale, diventa a sua volta icona di perfezione: sei perfetta se sei imperfetta, se non puoi fare tutto ma lo fai e se ci ridi sopra su un blog…

Concludo con questa citazione che è quella su cui da tempo mi sono fermata a riflettere di più. Perché anche io ho contribuito, senza volerlo, a creare questo stereotipo e quando mi sono accorta che ero diventata un “personaggio”, nel senso più granitico del termine, mi sono sentita soffocare e sono dovuta scappare a gambe levate.

Credo che si, di mamma ce ne sia più di una e se cominciassimo a essere meno interessate al modo in cui le altre scelgono di esserlo e più interessate a conoscere le altre in quanto persone, saremmo già a cavallo. Sono certa che questo libro possa aiutare molte persone (donne e uomini) a liberarsi di questo giogo che ci imponiamo e che ci impone la società per “monetizzarci”.

Indicazioni bibliografiche

Loredana Lipperini, Di mamma ce n’è più di una, Feltrinelli, 2013

Prezzo: € 15,00

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13 commenti
  1. Paolo dice:

    che oggi i figli si facciano perchè voluti, anche fortemente voluti (e le moderne tecniche di fecondazione assistita consentono anche di averli a chi altrimenti non può) mi pare un passo avanti..e non necessariamente significa considerare il figlio un “bene di consumo”.
    Sulla “medicalizzazione”..ho il massimo rispetto per le scelte di tutti e tutte, ma è il parto in ospedale che ha diminuito la mortalità infantile e materna..ovviamente si può e si deve migliorare.

  2. Panzallaria dice:

    ciao Paolo, io concordo con te, penso che il tema centrale del libro sia la percezione di avere una libertà di scelta che va oltre quello che è più largamente codificato e etichettato a livello sociale e di comunicazione. Certe volte ce lo dimentichiamo, o almeno a me sembra così 😉 e noi mamme non siamo molto brave a fare “squadra” su questo punto, delle due ce la prendiamo con chi fa scelte diverse, mentre per l’appunto, sono solo scelte diverse. Io non ho un’idea specifica se per esempio sono più per l’epidurale o il parto in casa, per dire. Trovo entrambe le cose importanti e mi sembra fondamentale poter scegliere, cosa che non sempre è possibile.

  3. Mammamsterdam dice:

    posso tirarmela allora visto che ci conosciamo da prima della Frolli? Quindi prima che ti inserissi nel frame madre?

    poi Lips è una grande per quello che fa come registratrice di femminilità in Italia

  4. Mammamsterdam dice:

    fondamentalmente la s-medicalizzaizone del parto è ancora un tabu, visto che ogni volta che qualcunoc erca di parlarne viene immediatamente spinto nel campo della naturalizzaizone dello stesso, il che non è vero. Comunque a parte quello che suggerisce il buon senso, non è la medicalizzazione del parto a salvare più vite, ma le migliorate condizioni igieniche, la cura nel seguire la gravidanza e un generale maggior tenore di vita e di conoscenze mediche. infatti a voler proprio cercare il pelo nell’ uovo, quando nell’ Inghilterra dell’ ‘800 si è instaurata dal prassi del parto medicalizzato, sono insorte tutta una serie di complicazioni dovute alla posizione ginecologica in cui si partorisce quasi sempre adesso, che da sé crea complicazioni appunto, ma `e comoda per chi assiste la partoriente. (Oh, io sono quella che ha visto la luce quando alla seconda gravidanza ha letto un libro sul parto squatting, ovvero acquattatem, che hai dalla tua la posizione di apertura più ampia, la gravità e la maggior comodita nel reagire alle contrazioni. Peccato poi che figlio 2 è saltato fuori talmente inf retta che manco ce l’ ho fatta).

  5. Paolo dice:

    X Mammasterdam.
    resta il fatto che certe complicazioni che potrebbero sopraggiungere durante hanno bisogno di una struttura ospedaliera per essere risolte (senza parlare dell’epidurale che si può fare solo là)..correggetemi se sbaglio, e detto con tutto il rispetto per le scelte individuali

  6. deborah dice:

    A dire la vrità, sulla medicalizzazione del parto, mi sentivo ben più sicura in Ospedale che a casa mia. Partorire in ospedale, tra l’altro, non mi ha impedito affatto di essere protagonista di questo momento, quanto a posizioni da assumere o in domande da fare. Forse sono stata fortunata, ho trovato delle persone competenti e , in un certo senso, complici. Essere in ospedale credo che, ora come ora, dia delle garanzie in più. Una ragazza che seguì il corso preparto con me, fu colpita da lieve ictus durante il parto e di altre complicazioni ne ho sentite a bizzeffe. Una volta si partoriva in casa..e si moriva molto di più o i bambini nascevano in maggior numero con ritardi mentali. Non penso siano solo le questioni igeniche a fare la differenza. Naturale non è per forza meglio, stiamoci attente!

  7. deborah dice:

    Molto interessante anche ciò che scrivi sul fenomeno delle mamme blogger, che condivido appieno. Noto inoltre, nell’ultimo periodo una certa aureferenzialità nel trattare le questioni. Mi spiego meglio: queste mamme hanno avuto modo di conoscersi personalmente, alcune sono diventate amiche. E questo è positivo. Forse meno che lo si noti nei post e nei commenti. Molti blog sembrano ormai sembrano circoli chiusi di conoscenze che faticano in apertura verso l’extraneus. Sembra quasi ci siano commenti di serie a e di serie b, dipendendo il posto in classifica dalla persona che li scrive. Pare tutto un passarsi la palla ormai, e battersi le mani reciprocamente. Forse mi sbaglio, ma questa è la sensazione che ha una che da un po’ butta occhiate qui e là in vari siti. Diciamo che fa perdere la voglia di partecipare. A volte sembra un rotary club di gente che se la canta e se la suona..Triste, per essere il web!

  8. Panzallaria dice:

    @Deborah: sul circolo chiuso ho esattamente la stessa sensazione. C’è anche da dire che secondo me il fatto di “ruotare” intorno a quelle 2 o 3 che forniscono lavoro anche alle altre è fisiologico in un clima “aziendale”. Il punto è che sul web si mischia tutto, amicizie, lavoro, promesse di lavoro, aspettative, idealizzazioni in un mix che può diventare estremamente soffocante e autoreferenziale. E si nota un bel po’, con detrimento dell’apertura verso l’esterno.

  9. ITmom dice:

    Hai detto bene Francesca,
    … C’è anche da dire che secondo me il fatto di “ruotare” intorno a quelle 2 o 3 che forniscono lavoro anche alle altre è fisiologico in un clima “aziendale”.

    è che i blog non sono nati per avere uno spirito aziendale, ed è quello che più mi infastidisce. Se sono uscita da anni dalle aziende è proprio perché odio quella mentalità, e adesso che me la sono ritrovata pari pari nella blogosfera me ne sono fuggita a gambe levate. Però non è bello dirlo, perché ogni volta che lo dico mi si dà dell’asociale, cosa che peraltro sono.

  10. Panzallaria dice:

    @ItMom: secondo me purtroppo siamo tutti molto inesperti e malgrado qualcuno si offenda nel sentirsi dare dell’ingenuo, lo siamo tutti, bisogna stare attenti a non cadere in maniera inconsapevole in quella dinamica che ancora stentiamo a riconoscere con chiarezza di personale e professionale che si mischiano. Qualcuno riesce a gestirla ottimamente, qualcuno no e ne rimane un po’ schiacciato (con esiti pubblici spesso ridicoli). Dovremmo imparare tutti a prendere il web con la dovuta leggerezza e soprattutto a capire la differenza tra “amico” inteso come contatto su facebook o nella tua web map di mamme blogger e amico vero. Così secondo me, si vive bene e si risparmiano un sacco di energie e salamelecchi 😉

  11. ITmom dice:

    pienamente d’accordo. Si deve maturare, capire molte cose e non farsi lusingare da ‘mi piace’ dati a caso, da applausi pilotati dalla clac non appena un blogger dice anche una semplice cavolata, e tenere le debite distanze. Non a caso da quando l’ho capito la mia vita sociale, quella vera, l’ho rivalutata di molto. Io lo chiamo ‘il grande bluff’ quello che fa credere ai gruppi sui social di essere parte di una grande famiglia, di un gruppo di amici veri… e se sei approvato sei felice, se sei ignorato o addirittura mobbizzato (cosa che mi capita troppo spesso di vedere fare anche tra le ‘amiche mamme’) stai male. Siamo ingenui, hai ragione. scusa, lo so che non c’entra molto con il post, ma sono considerazioni che ho fatto dopo aver letto il tuo post.

  12. MOIRA dice:

    Osservando i concetti in generale che emergono non solo dal post ma anche dalle risposte, mi par di capire – e non credo sia solo una sensazione – che uno dei problemi più spinosi sia quello della valanga di individui che vogliono a tutti i costi far valere le proprie ragioni. O meglio: i blog ( e pure i forum) e altro lasciano giustamente spazio a tutti, anche a quelli che si ergono a depositari della verità, che purtroppo questo spazio se lo prendono tutto fagocitando gli altri. Ve li ricordate i saputelli della classe? Parlavano solo loro, esistevano solo loro, no? Ma in realtà, chi erano? che avevano in più degli altri?
    non so se si tartti di una caratteristica personale. Ho una collega di lavoro che guai a farle qualche rimostranza, qualche critica, dirle che ha torto se si mette a esprimere giudizi (e che giudizi!) su cose e persone. Lei (che io ritengo mentalmente molto rigida) in un attimo annienta il tizio che ha il solo torto di aver usato un tono ironico piuttosto che serio, o la collega cui bisogna rispiegare una o due volte in più un argomento che non era chiaro… e ovviamente ha sempre ragione lei! Io che non amo lo scontro frontale (forse perchè non ne sono capace, mi sento sempre inadeguata etc) se posso evito di parlare o ribattere, e me ne sto per conto mio. risulato: il mio disappunto non emerge… e si svela magari qui. Lontano dal punto di deflagrazione. Ha un senso? mah! Dico questro perchè poi la condizione di mamma, vista sotto vari aspetti, non si allontana poi molto. Vieni criticata, ringraziata, lodata o biasimata davvero a seconda di come ti vedono gli altri, e di come tira il vento… mica per quello che fai, per come ti sforzi di farlo, per tutto quello che speri di riuscire a fare! ce ne sarebbero di cose da dire!!…

  13. Panzallaria dice:

    ciao Moira, grazie per il tuo commento. E’ vero che il web è spesso un grande sfogatoio e molte persone lo usano per dare aria alle proprie frustrazioni, vero anche che attorno alla figura della mater ci sono talmente tanti stereotipi, sentiti dire, macigni culturali che spesso ci si sente davvero oppresse.

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