Panzallaria, la Leonarda e il sapone


Quando ero piccola abitavo nell’angolo di un palazzo, dove due terrazze confinavano: una era la nostra, l’altra della dada Laura.

La dada Laura era una simpatica signora di 70 anni che puliva i pavimenti con la cera e pretendeva che in casa sua si girasse con le pattine.
Quando al pomeriggio d’estate passavamo molto tempo a giocare in terrazza, la dada si metteva su una sedia in paglia e dal suo balcone si chiacchierava.

Qualche volta che mamma doveva uscire a fare una spesa veloce, lasciava me e mio fratello in terrazzo e la dada Laura ci badava affacciata dalla sua, tenendoci compagnia con tutte le sue storie di donna anziana, vissuta durante le guerre.

La dada Laura non era molto esperta di psicologia infantile e la pedagogia era per lei – semplicemente – una pratica da estetista, molto simile a quella del callista.

Una volta ci raccontò una storia che fatico ancora a dimenticare: c’era una donna che era matta. Questa donna, negli anni 5o, aveva compiuto delle cose molto brutte. Invitava le amiche a casa per il the e poi le uccideva e le faceva a pezzettini. Le cuoceva sul fuoco e con le loro ossa ci faceva il sapone, che poi vendeva al mercato.

A volte, con le ossa, ci faceva pure le torte che dava da mangiare alle altre amiche che invitava, prima di ucciderle. Questa donna abitava vicino a Bologna. L’hanno scoperta perché una signora che aveva comprato il suo sapone ci ha trovato dentro una fede matrimoniale e un dito mozzato. Questa è una storia vera, capitata molto, molto, vicino alla nostra città.

Potete immaginare cosa suscitò in mio fratello e me questo racconto; lui aveva 3anni e mezzo, io quasi 6.

La prima notte non dormii. La mattina mi rifiutai di usare il sapone per lavarmi la faccia. La seconda notte la passai a piangere, perché avevo paura che questa donna – che aveva un cognome complicatissimo e un nome da uomo – venisse a prendermi, visto che abitava in un paese non tanto lontano.

La prima volta che mi fu possibile e mi trovai da sola con la dada, cercai conforto in lei: “te la sei inventata quella storia, vero dada?” “no, no, è una storia vera! è per questo che non dovete mai dare retta agli sconosciuti! perché alcuni sono cattivi e matti come la Cirincioni!!!”.

Insomma: un incubo. Io e mio fratello eravamo atterriti.
Lo raccontammo a mia mamma che invece in pedagogia stava studiando. Lei capì perfettamente il nostro stato d’animo e cercò di convincerci che era una storia finta, che i saponi che compravamo noi li vendevano delle fabbriche grandissime e non le signore matte, e che la dada Laura era un po’ sciroccata.
Purtroppo però, i saponi liquidi non avevano ancora sfondato.

Sono passati tanti anni e in seguito ho sentito parlare ancora di questa storia.
Ognuno ne dava una versione diversa.

Ma la Leonarda Cianciulli è esistita veramente. E con il tempo io mi sono appassionata a certe storie tra il macabro e il surreale. A questa, in particolare, mi ero affezionata molto – anche se ne sapevo poco – per via della dada Laura.

Per la verità, del Mostro di Firenze vi potrei dire quasi tutto, perché una volta che ero in ospedale mi sono letta tre libri e gli atti del processo; della Cianciulli invece avevo informazioni di seconda mano e non documentate.

Ieri sera – per la rassegna estiva Bo noir – siamo stati a sentire la storia della Leonarda Cianciulli da Correggio (Re).
La storia della saponificatrice e delle sue vittime.
C’erano dei criminologi e un esperto dei Ris di Parma (I CSI de noi artri!).

E’ stato bello, ma mi è caduto un vero mito. Perché la Leonarda, pare, si è inventata tutta la storia che saponificava le sue vittime. Lei le uccideva per truffare la famiglia, poi le seppelliva da qualche parte, aiutata dal figlio e da altri in paese. Forse c’era anche un prete nella banda.

Avevano aperto una specie di associazione culturale; una pro loco cattolica e per delinquere.

Ma la Cianciulli, che fu scoperta sì grazie a degli ori, ma non celati nel sapone, era una gran furbona, un genio del male.

Si inventò tante storie che nel 1949 nessuno potè sfatare. Il mito del sapone e della farina di ossa umane. I sacrifici alla morte per via di tutti gli aborti che aveva avuto. La maledizione di sua madre che la aveva partorita in seguito ad una violenza carnale.

Si inventò storie, passati maledetti e omicidi rocamboleschi che finivano nel sapone e nel canale di scolo dietro a casa. Perché ormai era stata scoperta e forse voleva rimanere nella storia.

L’uomo nero dell’Emilia. Il terrore dei tortelli.
Lo spauracchio di noi bambini a cui avrebbe potuto far da nonna.
Il mito delle dade Laure nostrane, per far addormentare i nipotini e obbligarli a mettersi le pattine in casa, “che se no arriva la Cianciulli e ti trasforma in talco mentolato!”.

Che delusione…
A me piace credere ancora che tutto quel terrore, provato da bambina, fosse frutto di cosa vera. Perché per troppo tempo la Cianciulli m’ha stretto le chiappe nella morsa dell’incubo, perché ho un ricordo troppo vivido di come è cambiato il mio modo di lavarmi le mani.

Perché da quando esiste, uso solo sapone in barattolo e dispencer….

3 commenti
  1. talkingfish dice:

    Beh, che un’evento del genere venga amplificato e distorto (sia da chi l’ha commesso che da chi l’ha solo “ascoltato”) è normale. Tutti vogliono essere ricordati, quindi, se si deve essere ricordati male, meglio farlo in grande.
    E’ la “Mitologia Di Noi” per dirla con Chuck Palahniuk, insomma: quel disperato bisogno di essere qualcuno, di essere ricordati e rimanere nell’immginario collettivo per sempre.

  2. nandina dice:

    Anche io sono un’appassionata di storie macabre e gialle.
    Ma di quelle insolute.
    Quelle che lasciano aperte mille possibilità e misteri.
    Perchè poi, quando il mistero si risolve, spesso la storia perde fascino e rimane solo macabra…

  3. Broke dice:

    uno dei post più belli che tu abbia mai scritto su questo blog. peccato non avere qui davanti a casa mia un terrazzo: guarderei fuori per vedere se la dada Laura è lì seduta.

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