La caldaia e l’orologio


Nel 1980 l’estate era bella calda.

Noi si partiva per il mare a metà agosto e io non ce la facevo più di stare in città: chiuso il campo solare, salutati tutti gli amici, mi annoiavo a morte.

Quella mattina babbo era a casa. Quella mattina inforcammo le bici per fare un bel giro in giro. Non un’anima. Tutti in vacanza. Tutti in spiaggia a veder le chiappe chiare, a Rimini, Riccione o in qualche posto più in là, magari in Salento dove sarei andata presto anche io.

Mio fratello, babbo ed io giriamo in lungo e in largo, mentre le cicale suonano e qualche pensionato porta a spasso il cane. Vogliamo prendere il latte al bar – che è una di quelle cose che fanno tanto giornata speciale – ma non si trova uno straccio di bar latteria aperto.

Babbo, invece, compra dei fiori alla mamma. Forse deve farsi perdonare qualcosa.
Mio fratello ed io facciamo i garoni ai giardinetti, io mi sono già tolta le rotelline alla bici, lui no. Essere più grandi è una gran fikata!.

Mentre ci stiamo rincorrendo e babbo legge il giornale, si sente un tuono nel cielo sereno.

Un tuono forte forte, come quando il fulmine cade vicino in montagna e ti passa un brivido lungo la schiena.
Babbo guarda verso il cielo. Ma in cielo non si vede niente. Poi solo tanto silenzio. E poi invece – nel silenzio – poco dopo, il rumore delle camionette della polizia, dei vigili del fuoco, delle ambulanze rombanti.

Babbino non ha più voglia di stare ai giardini.
Ci dice di raccogliere tutto che torniamo a casa. Babbino ha la voce sottile e flebile, come quando gli viene il raffreddore…oddio, speriamo che non gli venga il raffreddore che se no come facciamo ad andare al mare??.

Torniamo a casa senza aver fatto colazione fuori.
Torniamo a casa in fretta e a me dispiace molto, perché ai giardini si stava bene e c’era anche l’Anna, che fa la mia stessa classe e non è ancora partita per le vacanze, come me.

In cantina, mentre depositiamo le bici incontriamo il signore dell’ultimo piano: quello con i capelli grigi e tante rughe. Sta correndo, come una pallina di ping pong, senza una meta precisa, per il cortile. O almeno a me così sembra.

E mentre corre – forse a prendere la bici per uscire – piange come un bimbo (ma anche i grandi piangono??).

Babbino lo guarda in faccia. Babbino arrischia una domanda “cosa è successo?”.
“non ha sentito il botto?”…”dicono che è scoppiata una caldaia alla stazione, è venuto giù tutto, ci sono tanti morti…” “mia cugina doveva partire per Misano stamattina, sto correndo a vedere se la trovo!”.

Io e mio fratello guardiamo la faccia di mio padre che inebetito esclama quello che tutti i grandi esclamano quando non riescono a credere alle proprie orecchie: “sta scherzando vero?”.

Il signore anziano non scherza, inforca la bici e parte.

Noi corriamo in casa ad accendere la tivu.
Sono le 11 del mattino.

Fuori il rumore di ambulanze aumenta. A me – a catechismo – hanno insegnato che se passa un’ambulanza bisogna farsi il segno della croce e dire una preghierina che ci potrebbe essere qualcuno che sta male, dentro.

I segni della croce si moltiplicano e anche le preghierine. Perché noi abitiamo vicino all’ospedale e oggi di ambulanze ne passano davvero tante.

Nessuno però, a catechismo, mi ha insegnato che la preghierina la devo dire anche quando passa l’autobus.

Perché dalla finestra, sull’autobus intravedo gente stesa per terra con sopra degli enormi lenzuoli. Non sembra che dormano tutte quelle persone, perché sono immobili e hanno la faccia coperta.

Mio padre mi porta lontano dalla finestra. Dice “non guardare”, dice “vai a leggere Topolino” ma io ho il cuore che batte forte forte e ho molta paura.

Ma cos’è una caldaia?? e perché scoppia???

Mamma torna a casa. Piange pure lei e si attacca al telefono. Perché la zia arriva oggi da Milano in treno.
Ma il telefono è muto.

Passano le ore e io leggo Topolino. Intanto sento alla televisione parole nuove, che nessuno ancora mi ha insegnato: strage, bomba, crollo, fascisti e brigate rosse.

Entro sera mia mamma riesce a raggiungere la casa della nonna, dove mia zia è arrivata, sana e salva. Il suo treno era in ritardo. Per passare ha scavalcato cadaveri lungo i binari.

Un orologio si è fermato.
Per qualcuno saranno sempre le 10.25 del 2 agosto 1980.

Per l’Italia una nuova sconfitta.
Per me – bambina di 7 anni – la percezione – prima – del Male.
La mia città come simbolo di un modo italiano di risolvere le cose: tutto cambia perché tutto resti uguale…..

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