sono qui

Sono stati giorni nel frullatore.
Perché mi hanno affidato un nuovo lavoro e perché ho deciso di andare a farmi un giro a Torino.
A Torino c’ho abitato per 7 mesi. Dopo aver vissuto a Milano per il Master che ho frequentato lì (un po’ i miei militari, con disavventure connesse), andai a vivere a Torino per lavoro.

Torino è una città che amo molto. Ho imparato a scoprirla negli anni ma me ne sono perdutamente innamorata, molto prima che se ne parlasse per via delle Olimpiadi, molto prima che Lapo si travestisse da donna e che Agnelli transvolasse in cielo.

Che quella mattina che “narici d’oro” prendesse il volo ero lì. E ricordo il capannello degli ex operai della Fiat, alla mattina del funerale, in Piazza Castello in tuta blu. A parlare di lui come se a morir fosse stato un po’ il papà di tutti loro. Un papà intransigente, alle volte ingiusto ma di certo amato.

Che quella mattina in cui morì, entrai in ufficio e l’aria era anche tetra e scherzando con un collega gli feci le condoglianze – da bolognese goliarda e bonacciona – e lui mi fulminò, dicendo che non potevo capire cosa voleva dire per la loro città.

Ma Torino sono per me – soprattutto – le lunghe passeggiate al parco del Valentino e per le strade del Quadrilatero, in centro. A spiar caseggiati ottocenteschi in odor di Parigi, a entrar in negozietti improbabili, pieni di colori.
Torino è il Baloon. Torino sono i colori e le razze che si mischiano meglio che nel resto d’Italia.
Le piazze, i caffè e i torinesi.

Torino sono le montagne, di quando alla mattina andavo al lavoro e c’era sereno e tutto intorno era cinto di alpi biancheggianti al sole e ti si apriva proprio il cuore.

Torino sono le mie paure di donna che entra nel mondo del lavoro che vuole (per la verità ho cominciato a lavorare a 19 anni, ma con il Master avevo deciso di inseguire quel che mi piace) e che si chiede se tutti quei sacrifici serviranno.
Treni, saluti, stazione e solitudine.
Tino a Bologna. Panzallaria a Torino.
Pochi soldi. Poca fama.
Molte parole. Incise su una moleskina. In riva al Po. Ogni giorno, all’ora del rientro a casa.

Sono tornata a Torino con il pancione.
Ed era tutto un po’ fermo, apparentemente. Nella microvita che ho vissuto per quei sette mesi. C’erano ancora le mie pantofole, quelle di allora. Serbate dalla persona con cui avevo vissuto.
C’erano ancora le nostre chiacchierate serali. Le cene divise sul tavolino di cucina.

C. mi ha raccontato pezzetti della vita che mi sono persa. Dei fiori e dell’università, della figlia e della nipotina.

Io ho parlato di Frollina e delle mie paure.
Mi sono guardata allo specchio; una pancia enorme, un viso diverso. Diverso da quattro anni fa.
Ho pensato che la vita fa proprio tanti giri. Che ero a Torino quando iniziava la mia vita professionale, dopo gli studi.

Sono a Torino che sto per diventare mamma.

Perché manca proprio poco. E ogni giorno ne divento più lucida.
Nella notte torinese sono stata male.
Ho avuto un forte attacco di asma. Perché non l’ho mai raccontato, ma io soffro di asma a causa di una medicina che mi ha reso allergica e mi ha provocato qualche problema alle vie respiratorie, un anno fa.
Prima mai avuti problemi. Poi asma per tre mesi. Poi mi sembrava che tutto fosse passato.
L’altra notte l’apnea.
La consapevolezza di essere sola a Torino. Senza Tino, senza il mio ginecologo e il mio pronto soccorso.
Senza le mie medicine.
Incinta.
Prima il panico, poi la lucidità. La consapevolezza che non ero sola, che dovevo badar anche alla Feta che vive in me. E il panico e l’apnea non sono il massimo per Lei.
Sono andata avanti 4 ore contando il respiro, concentrandomi sui miei bronchi per rilassarli, cercando pensieri positivi.
Non volevo svegliare e preoccupare C.
Perché – per fortuna – so come vanno queste cose. Ma mi sono sentita fragile. Come una che pensa che vuole chiudersi nel suo nido caldo, che vuole stare protetta con Tino, nel proprio letto a guardare i giorni che passano e a covare il suo bambino.

Alla fine è passata. Ma ero spossata. Niente giri per la città, che era invasa dal diluvio. Solo pensieri a coriandolo in un’atmosfera surreale a causa del poco sonno.

A Torino ho capito, come un punto perfetto nel tempo, che manca poco. Che non posso più vivere come se non avessi questo zainetto addosso.
A Torino ho capito che la mia vita è già cambiata. Che quella che passeggiava da sola lungo il Po è dietro ad altri mille strati di me. Perché non sono più sola e – spero – nel mio pensiero, mai più lo sarò.

Grazie a Lemoni e a tutti gli altri per l’affetto e la preoccupazione per l’assenza di questi giorni. Purtroppo ( o per fortuna) – causa lavoro – potrà ricapitare. Ma sto bene. Il ginecologo è molto contento dei miei esami e della mia forma fisica. Frollina si muove come una pazza e mi fa sentire che cresce ogni giorno di più…

5 commenti
  1. Anonymous dice:

    Uhm… Si narrà di un tuo avvistamento a Torino pure in circostanze a dir poco curiose, circa 2 anni fa in questo periodo… ma forse quella pazza isterica che pascolava un gregge di ragazzini ed insegnanti indisciplinati (sopratuttutto questi ultimi) non eri tu…

    Brigida’s Boy.

  2. Anonymous dice:

    Lapo travestito da donna???!!! Ma quando? Perché? È un culo pure lui? Viva le occhiaie! Viva la droga!

  3. Panzallaria dice:

    Bho…a me voci di corridoio hanno fatto sapere che Lapo, quando l’hanno trovato al cocaparty, era vestito da donna…

    ma sono quelle voci come che Predolin negli anni 80 era morto di aids in tutti gli ospedali di Italia; qualcuno, a Bologna, giurava pure di averlo intravisto per i corridoi del Maggiore…

    e cmnq la parola “culo” mi piace molto poco e sottintende molte offese anche se usata con ironia (almeno per la mia sensibilità)…

  4. Anonymous dice:

    Giusto, giusto, mi scuso, era una citazione da Aldo Nove (Superwoobinda), ma in effetti..

    Hasta la droga siempre, comunque!

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