Il matrimonio

Sabato sono stata al matrimonio di un vecchio compagno di classe di Tino.
Pioveva che dio la mandava. Dopo mesi mi ero rimessa le scarpe chiuse, con un leggero tacco e i miei piedi hanno sofferto l’inferno. Perché ad un certo punto, tutta quella ciccia concentrata in un punto solo, la ritenzione idrica e il resto hanno fatto il loro lavorio e mi sembrava di avere due salsicciotti al posto delle fette.

La mia pancia era evidentissima sotto il golfino azzurro di cotone. E – si sa – ai matrimoni, alla gente piace parlare degli eventi della vita. Come se in quel giorno si concentrassero tutti i destini degli amici della sposa e dello sposo e tutti a guardarsi indietro e avanti, magari dopo anni che non ci si vede.

Ai matrimoni le donne incinta fanno gola. Simbolo di fecondità; del mondo che va avanti – malgrado i Razzi-nger del caso (scusate ma la cronaca delle cattoliche affermazioni mi schifa e allibisce…) – e facile argomento di discussione tra estranei costretti allo stesso tavolo.

Tutti a toccarti il pancione, come fosse una gobba salvifica. Che alle volte è anche un po’ spiacevole, a dir la verità. Che magari ti sei strafogata di lasagnette e il tuo stomaco, compresso contro le poppe, ha già una certa difficoltà a digerire, senza che qualcuno si metta a spingere, pensando che proprio lì stia il tuo bambino!.

E poi, se a quel matrimonio non sei l’unica donna incinta, il tuo destino è passare la giornata a confrontarti con le altre gravide della situazione o con chi ha appena sfornato un bel pupetto da catalogo e ti sorride gioiosa, guardando te e il proprio prodotto finito.

Perché – si sa – oggi sono i 30/35 anni l’età riproduttiva e da unione sacra italiane; e se sei in quella fascia d’età, invariabilmente tu e i tuoi coetanei siete in piena fase espansiva, nel lavoro, nella coppia e nella pancia.

Età della vita.

Insomma: al nostro tavolo eravamo tutte coppie, a parte uno sfortunato uomo solo che – credo – ad un certo punto avrà preso il cianuro, pur di interrompere l’effluvio di chiacchera materna, di consigli su pannolinilettinicarrozzine che produceva la vista della mia pancia…

Perché eravamo a tavola con un’altra donna, incinta del II figlio.
Di cui non ricordo più il nome, ma so bene come ha contrastato la mastite.
Che – con sguardo azzurro ghiaccio – mi ha incenerito quando ha saputo che non avevo ancora preparato la cameretta di Frollina e che l’unico “ovetto” che conosco è quello della sorpresina…

Lentamente mi è salita l’angosciosa certezza che nemmeno una Feta nella pancia può cambiare la tua cazzarellaggine. Poi da angoscia dell’impreparato, a sentire questa – entrata in evidente stato di trans agonistica da bimamma – mi sono resa conto che provavo un certo qual senso di sollievo…

Perché la cazzarrellaggine, se nelle giuste dosi, produce calma e serenità. Perché sono un po’ stufa di parlare sempre di questo. Perché avrei preferito sentire aneddoti sulla scuola, sulle gite storiche e sul diploma e invece sono stata per otto ore l’oggetto di discussione di mamme realizzate e di padri in giacca e cravatta.

E se a tratti è molto bello, a tratti è un po’ triste, un po’ da film di Muccino; che si diventa grandi e i cazzarelloni mettono la testa a posto e vanno in vacanza con la fuoristrada e usano il palmare per consultare la posta di lavoro.

Gli stessi che a 18 anni imbrattavano i muri con caricature di professori inviolabili, gli stessi che saltavano dalla finestra e andavano a giocare a ping pong nelle cantine della scuola.

Gli stessi che dicevano “saremo sempre così” e che non capivano mamma e papà, sempre presi dal lavoro e dai doverismi familiari.

Ma è banale e lo sappiamo: la ruota gira; si cresce.
Sta a noi rimanere in allerta, farla girare bene e crescere con leggerezza.

Chissà se lo saprò fare…

3 commenti
  1. talkingfish dice:

    Al mondo non c’è nulla che rimane uguale a se stesso. Per quale motivo l’uomo, l’essere più frammentario del creato, dovrebbe esserlo?
    Hai ragione quando scrivi che spesso tutto cambia, ma molto spesso siamo noi che ci lasciamo cambiare da quello che ci circonda. Alle fine, sta tutto nel non perdere quella “scintilla”, quel piccolo fuoco interiore che ci rende unici.
    E, da quel che posso leggere, mi pare che tu non sia proprio il tipo da lasciarlo spegnere.

  2. Cap. Carlock dice:

    Ecco, ottimo, bravissimo il talkingfish. E poi, se ti imborghesissi troppo ci sarei sempre io a ricondurti sulla via retta – l’insegnante quasi ufficiale di parolacce alla pupa.

  3. Cap. Carlock dice:

    Ecco, ottimo, bravissimo il talkingfish. E poi, se ti imborghesissi troppo ci sarei sempre io a ricondurti sulla via retta – l’insegnante quasi ufficiale di parolacce alla pupa.

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