L’infanzia di Panzallaria

Attilione Bulloni
Da quando Frollina cresce nella mia pancia, penso di più alle fasi della mia vita, le ripercorro sia nei sogni che nel cosciente. Forse perché dormo poco e di notte si pensa molto, forse perché la vita – quella roba un po’ magica e miracolosa che mi sta crescendo dentro – ti induce a ripercorrere al contrario i tuoi passi fondamentali, come quando muori.

E ti rendi conto che il tempo non è una linea continua, che i ricordi non si dipanano come una matassa da srotolare in maniera consequenziale ma sono pulci, pulci che saltano da un punto all’altro.

E quel che ti resta della tua vita passata sono solo dei passaggi che magari al momento ti sembravano insignificanti ma che con gli anni si trasformano in madeleine, servono a rammemorarti tutta una quantità di sensazioni, il succo di un periodo, di come stavi.

Recentemente ho rivisto una amica di infanzia.
Ero in centro, sono passata di fronte al suo negozio con Tino e sono voluta entrare.
Anche se da molti anni non ci si vedeva, non avevo per niente quella strana pudicizia che ti si sviluppa da adulto e ti spinge verso la forma con chi sai di conoscere – ormai – tanto poco.

E’ stato bellissimo ritrovarsi. Perché in fondofondo eravamo proprio uguali alle bimbette che eravamo.

Ho avuto la fortuna di crescere in un paese in collina, i miei – come molti negli anni 70/80 – avevano scelto di comprarsi la villetta a schiera. Molta gente in quegli anni, si trasferì nel villaggio M. dalla città. C’eravamo anche noi. C’erano tanti bambini intorno a casa mia. Avevamo tutti la stessa età. Siamo cresciuti a casa l’uno dell’altra. Passavamo i pomeriggi sull’albero – dove ci eravamo inventate un fortino – a raccontarci cose e a inventare piani di avventure al fiume.

Poi si parlava di maschi, di amori e di sogni.
Ci raccontavamo anche le puntate di Giorgie, di quando nuda si era spogliata nel letto e il fratello l’aveva riscaldata. Era un fratello adottivo, per cui secondo noi era scattato qualcosa.

Quando sono uscita dal negozio, dopo qualche aggiornamento sugli ultimi 15 anni di vita che approfondiremo in una seduta a tre la settimana prossima – e non vedo l’ora! – mi è venuta in mente una cosa.

Era il 1985. Estate. Un caldo infernale tipo phon. Le due del pomeriggio di un pomeriggio di ozio qualunque. Noi amiche ci mettevamo all’ombra, sedute sulle scale che conducevano al garage, perché non avevamo nemmeno la forza di arrivare all’albero.

Era il periodo in cui si parlava molto di fantasmi e cose strane, in cui c’era sempre una cugina più grande, un amico di tuo fratello o un bambino del vicinato che aveva avuto esperienze strane, di quelle che ti fanno alzare tutti i peletti della schiena.

La mia amica Manolita (quella del negozio) aveva un libro di misteri a casa. Lo portava a quei nostri appuntamenti quotidiani.

Quel giorno toccava a me leggere.
Ricordo una storia che mi colpì e cominciai a leggerla alle altre, concentrate, in silenzio in quel caldo afoso. Una signora rinveniva sempre sulle piastrelle della sua cucina delle strane macchie. Macchie che prendevano invariabilmente la forma di volti. Volti di donne e uomini morti. Perché la sua casa era stata costruita su di un cimitero.
Io leggevo agghiacciata questa storia. Occhiblu sgranava i suoi occhioni. Manolita si mordicchiava le nocche.

Io mi appuntavo gli occhiali al naso e leggevo. Ad un certo punto le foto, le foto delle macchie con volti umani.

Le noto e rimango a fissarle con la gola secca di paura, affascinata e spaventata insieme.
E’ a quel punto che le pupille di Occhiblu roteano come indemoniate dal terrore puro. Mi guarda fisso e mi indica con un dito e comincia a gridare come una matta. Manolita fa uguale. Io me la sto facendo sotto. Perché hanno paura di me?
Faccio volare in aria il libro. Cominciamo tutte a correre, ma loro scappano da me che gli vado dietro…

Solo dopo qualche minuto riusciamo tutte a calmarci, all’aria aperta, in mezzo alle case, in mezzo alla gente.

Occhiblu balbetta qualcosa del tipo ” le facce, le facce, erano nei tuoi occhiali…” e Manolita se ne sta silenziosa a riprendere fiato ma anche lei sembra non capire.

Io mi sento come la bimba dell’esorcista solo che so di essere indemoniata.
Poi ci pensiamo un attimo su.

Capiamo che – probabilmente – dal libro le foto si sono riflesse nei miei occhiali.
In quel momento è uno scoppio di risate. Non riusciamo a tenerci la pancia dal ridere. Ridiamo e ridiamo e pensiamo a quando racconteremo questa storia…

Ecco il punto esatto che racchiude i miei anni di allora. Un punto perfetto nel tempo. Che è fatto di odori, di consuetudini e di cose normali che diventano speciali, perché l’amicizia a 12 anni è davvero speciale e non ha bisogno di molte spiegazioni.

Sono uscita dal negozio di Manolita e mi è venuta in mente questa storia.
Ieri ho trovato una mail di Manolita in cui ricordava questa storia.

Un punto perfetto nella matassa confusa dei ricordi.
La mia infanzia.

Immagine di Attilione Bulloni

E’ giovedì!!!!!!!!!!!!!!! Leggi la nuova puntata di Condominio Bandiera, sceneggiata web sul mio condominio.

4 commenti
  1. Chiara dice:

    Ho letto Condominio Bandiera: è bellissimo! Mi ha appassionata: ora sono curiosa di sapere gli sviluppi… 🙂

  2. Panzallaria dice:

    Ma grazie! detto da te lo considero un gran bel complimento, dato che adoro come e quello che scrivi!!!!

    Copiatela tutti e leggete
    condominiobandiera.blogspot.com…

    vi prometto che non tenterò MAI di pubblicarlo su carta ;-9

  3. La Meringa dice:

    Sì, sì, concordo con il condominio, che vale un po’ come studio di un universale comune a tutti noi mortali e per questo fondante la nostra identità secondo questo semplice sillogismo:
    – tutti i condomìni sono uguali (anche il nostro)
    – tutti i condomìni sono abitati da condòmini mortali (in quanto esseri più o meno umani)
    – ergo oltre ad essere mortali, siamo anche uguali a tutti gli altri!!!!!!!!! Aaargh

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