Bugie

Quando stavo al paesello, che non vi ho mai raccontato del paesello, facevo la vita da paesello, per lo più.

Ero giovane e si “scendeva” a Bologna per andare a scuola, che al paesello di scuole superiori mica ce n’erano con la corriera che noi chiamavamo “l’agricola” perché portava la gente delle valli intorno verso l’urbe, facendoci sentire dei contadini in libera uscita.

Durante l’estate – soprattutto – si scorazzava liberi e belli, con gruppi di amici che si allargavano e restringevano a seconda dell’anno e della situazione psicoadolescenziale.

Di base c’erano tutte le mie amichette. Le mie vicine di casa, che con loro si condivideva tanta roba e poi, di volta in volta, attorno a noi giravano delle api.

Perché un gruppetto di 4 ragazzine, alle api fuco in piena battaglia ormonale faceva una gran gola.

Però una volta ci siamo affezionate molto ad un gruppo di amici della frazione che stava subito sotto il paesello, un buchetto di 4 case, e con loro poi abbiamo continuato ad uscire per alcuni anni.

Alla sera ci si trovava nella piazzetta della frazione e poi si andava in giro. A volte a giocare a pallavolo al campetto, se era illuminato, altre a fare i gavettoni. Se faceva molto caldo.

Altre andavamo in un circolo dopolavoro lì vicino, dove c’erano i dondoli e passavamo la sera sui dondoli a dire cavolate. O ad amoreggiare, perché in quel gruppo si amoreggiava anche. A dir la verità, io allora ero fidanzata con il mio primmammore, quello che adesso sta dall’altra parte del mondo e allora facevo solo la civetta stupidina (che ero un bel po’ stupidina!) con 2 tizi che li vedevo, che c’avevo potere ormonale su di loro.

Adesso direi, con la classe che mi contraddistingue, che ero molto stronzetta. Allora era così, ero molto insicura di me e dovevo sentirmi importante, sapendo che c’erano dei tizi che mi facevano il filo.

Una sera, mentre giocavamo a nascondino, io ero capitata in una cantina, a nascondermi con uno di questi due tizi.

Lui era molto dolce e anche un po’ timido. Sapevo che gli piacevo un bel po’ perché una volta lo avevo anche scovato che mi scriveva “ti amo panzallaria” sulle scale fuori dalla piscina dove mi allenavo, la piscina del paesello, e allora avevo capito che era una cosa seria.

Quella volta lì del nascondino, che eravamo nascosti nel buio di questa cantina di un palazzo di una nostra amica, lui si era avvicinato e alla fine ci eravamo dati un bacino sulle labbra.

La qual cosa aveva gettato me in un baratro di sensi di colpa verso il primmamore e a lui aveva fatto credere che fossimo fidanzati.

Io non so perché lo avevo baciato. Forse perché allora ero sciocchina e mi piaceva un po’ incarnare il personaggio della donna seducente, quando dentro mi sentivo una cacchetta.

Lui lo sapeva bene perché mi aveva baciato. E io non riuscivo proprio a dirgliela la verità, che non mi piaceva, che non ero innamorata e che quel bacio era stato solo una prova, una prova con me stessa.

Lui credeva, si era fatto il film che avrei lasciato primmammore. Io proprio non ne avevo alcuna intenzione. Avevo un bel da tentare di spiegargli delle cose mezze vere e mezze finte perché non capisse quanto era stato vuoto e vacuo il mio gesto, io che facevo la ragazzina intellettuale e invece c’avevo tante cose superficiali che mi attraevano.

Lui per un po’ mi telefonò tutti i giorni, come si fa con le fidanzate. Mi raccontava cosa aveva fatto nella giornata e mi chiedeva se quella sera, io e le amiche scendevamo in piazzetta. Poi mi faceva dei regalini che io non sapevo più come fare.

Alla lunga, non so come, per non farlo soffrire ma allo stesso tempo per liberarmene, a questo tizio ero arrivata a dire che lui mi piaceva molto ma che non ero pronta ad un rapporto impegnativo come lui mi avrebbe richiesto.

Non so come. Ma le mie parole si erano rivoltate contro me stessa e contro la verità, ma così lui non soffriva. Anzi.

Dopo qualche anno ho scoperto che quello lì nella cantina era stato il suo primo bacio  e aveva confidato ad un amico del paesello (che poi – iena! – lo aveva riportato a me) che era contento di averlo dato ad una persona che amava e che lo riamava allo stesso modo.

Alla fine poi questo tizio, davvero una persona simpatica, si era innamorato di un’altra che poi è anche diventata sua moglie e io sono pure stata al loro matrimonio. E quando sono andata a fargli le congratulazioni, a dargli il bacio che si dà agli sposi, lui mi ha strizzato l’occhio e mi ha detto “grazie Panzallaria, se tu non avessi deciso che era meglio non stare insieme, io forse non avrei conosciuto lei!”.

Insomma,  mi era grato un bel po’ per la mia coraggiosa scelta. Anche lì non ho mica detto nulla, sono rimasta come un baccalà a pensare ai giri che fanno le balle, che a volte sono balle che non lo sai mica che peso hanno sulle persone, tu sei giovane e le dici così, per dare fiato alla bocca, per fare la figheira fino in fondo e invece uno poi ci costruisce delle ragioni intorno, delle cause e degli effetti.

Dopo questa storia edificante, lo devo ammettere, agli uomini di balle ne ho dette ancora un po’, ma sempre a fin di bene, sempre perché non volevo mica ferire nessuno.

Ad un certo punto ho smesso. Non ne avevo più voglia, forse non ne avevo più bisogno. E ci pensavo stamattina.

Porca vacca.

A Tino non gli ho mai detto una balla.

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