L’allegro ricovero – parte I

Sono arrivata alla lussuosa Casa di cura dell’Altracittà con ancora le caccole agli occhi e il mio borsone pieno di libri e pigiami per ogni stagione. All’accettazione si sono subito presentate due medichine talmente gnocche ma così gnocche che Tino per poco lasciava una scia di saliva per il corridoio.

“Per domani desidera ravioli ai funghi o pasta al pesce?” mi ha chiesto una dolce e zuccherosa infermiera mentre compilavo le carte per la clausura che mi stava attendendo.

Ho subito pensato cazzo. Cazzo non ho portato il pigiamino da sera, porcavacca, come al solito ci faccio la figura della smandruppona squinternata.

Le dottorine bionde, dopo che tutti quanti quelli che si sono ricoverati con me (cinque persone con cui ho diviso gioie e dolori) ci hanno detto di salutare parenti e amici e come in un vero reality che si rispetti mi sono accomiatata da Tino che tornava nella turrita e con il quale non avrei potuto avere più contatti fino ad oggi.

Poi ci hanno fatto salire su un grande ascensore e ci hanno condotti a colloquio con il SupermegaLuminare.

Il SupermegaLuminare, nella casadicura Bensciccosa ha un piano tutto suo, con la targhetta perfino sul tasto dell’ascensore.

Scesi dall’ascensore ci siamo fermati ad attendere in una delle tre anticamere che separano dallo Studio del Luminare e un profumo di fiori di campo ci ha quietato lo spirito. Quando sono entrata dal SuperMegaLuminare ho sentito fin la musica celestiale, come in un film di Fantozzi e giuro di averlo visto contorniato da una luce bianca, come un’aurea ma non quella dell’aids della pubblicità.

Lui mi ha accolta calorosamente e mi ha spiegato in cosa avrebbe consistito il mio realityricovero, dove potevo essere eliminata e dove invece potevo prendere punti.

Le dottorine si erano disposte ai suoi lati e mi aspettavo sul serio, quando abbiamo finito, che partisse una musichetta di quelle da “Striscia la notizia” e che loro montassero sulla scrivania in mogano a ballare nei loro camici bianchi, mostrando puppe e culi.

Invece mi hanno detto che avremmo cominciato con la gara a punti e mi hanno condotto dove avremmo fatto la biopsia.

La mia lussuosa stanzetta la dividevo con una ragazza di Sorrento. Psoriasi in testa, olivi e limoneti nel suo bell’orto di cui mi ha parlato con tanto amore che mi sembrava di starci dentro.

Il reparto sembrava una famiglia allargata: 11 letti, ricoveri programmati per ogni tipo di malattia della pelle.

Ci siamo fin da subito ritrovati lì, con i miei compagni di cura, a parlare dei nostri guai e di come ognuno stia cercando soluzioni e attenda solo che qualche mago compia il miracolo e lo faccia tornare “come prima”.

Liberatorio. Catartico. La donna rettile non si è sentita più sola. Ci siamo compresi. Ci siamo ascoltati. La Bellanapoletana che soffre d’allopecia da 10 anni e non ha più un capello e nemmeno un pelo sul corpo ha quasi pianto quando tutti le abbiamo detto che lei era bella anche così e che io probabilmente sarei sembrata lo zio Fester con la bandana mentre lei assomigliava più ad un’incantatrice calva, con un certo fascino misterioso.

La Piccola ha invece 24 anni e la psoriasi l’accompagna da quando ne aveva 2.

La SciuraRita  è un donnone di 60 anni: da 4 anni, 2 volte all’anno le si aprono delle piaghe. Come PadrePio, solo che lei non ci vede nulla di santificato.

Quando la dottorina Biondauno è entrata stacchettando nella mia stanza per compilare la cartella e capire bene i miei guai, io non ce la facevo proprio a darle del Lei. Forse per il faccino angelico, forse perché mi sento molto giovane, ad un certo punto le ho detto:

“Mi scusi sa che le dò del tu, ma mi sembra che siamo quasi coetanee e non ce la faccio…”

Lei mi ha guardato con un sorriso mezzo si e mezzo no e mi ha risposto con un:

“Veramente io ho 26 anni…” che mi ha fatto sentire un rettile vecchio e rinsecchito e mi ha fatto pensare che avevo contabilizzato la prima panzallariata del mio soggiorno.

Dopo il comitato d’accoglienza, nel pomeriggio è arrivata l’infermiera Turbo, quella che si trova in ogni reparto del mondo e ha chiamato tutte le donne newentry in corridoio dove ci ha spiegato una delle prove della settimana.

“Bisogna che vi raccogliamo il piscio” ha iniziato.

“Ognuna di voi, per 24 ore dovrà pisciare qua dentro” ha continuato indicando delle caraffe da birra, con sopra scritti i nostri nomi. “Dopo che l’avete fatta, queste caraffe le mettete in quel frigo. Attenzione, c’è poco posto, incastratevi bene, mi raccomando. Serve per la funzionalità renale. Vedete di pisciare parecchio che se no ci preoccupiamo!”.

E a quel punto la nostra diuresi è diventata patrimonio della pubblica piazza e tutte, con un malcelato imbarazzo, abbiamo chinato gli occhi per non guardare le nostre compagne di bevuta.

Mi stavo giustogiusto riprendendo da questa simpatica scenetta, raggomitolata nel mio lettuccio caldo, a leggere L’arte della gioia di Goliarda Sapienza quando Turbo è entrata in camera urlando e chiedendomi quanto pesavo.

“Molto” ho risposto. “Troppo” ho continuato.

Ma lei aveva bisogno di un dato preciso e così mi ha tirata giù dal letto e ha concretizzato il peggiore incubo di una cicciona: mi ha pesata nel corridoio, davanti a tutti, facendo commenti rumorosi sul fatto che devo dimagrire.

Se non muoio di rettilaggine, ho pensato, muio di vergogna.

La trafila degli esami mi ha tenuta parecchio impegnata tanto che quando sono tornata in camera ho dovuto rispondere a numerose chiamate sul mio cellulare di parenti e amici.

Il telefono si è scaricato in fretta e quando mi sono resa conto che dovevo attaccarlo alla sua benzina, contemporaneamente ho capito che come al solito ne avevo combinata una delle mie: mi ero portata nell’Altracittà il caricabatterie di Tino e avevo lasciato a lui il mio.

Perfetto.

Assolutamente perfetto.

Nel prossimo post vi racconterò come sono riuscita a mantenermi connessa, cosa mi hanno detto i medici e come ho ravvivato la noia ospedaliera con allegri giochi di società.

13 commenti
  1. Mammamsterdam dice:

    Ossignur, ma non era una cosa spiclogica? E pesarti en plein publique fa parte della terapia d’urto, dell’elettroshock o cosa?

    Dai Panz, stai andando benissimo, non demordere e continua così. Poi che ti frega del caricatore, capisco che Frollina ti manchi, ma per il resto un sano ritiro spirituale e il self-support group dei compagni pazienti magari fanno.

    Un abbraccio,
    Ba

  2. giusi43 dice:

    Dall’Allegro Ricovero, con ironica allegria…
    Queste sono le cronache che aspettavamo e continuiamo ad aspettare dalla nostra Panz… Grazie e a presto ! Auguri… Giusi.

  3. pulc3tta dice:

    “Veramente io ho 26 anni…”: ah, quindi si è appena laureata… (lo so, diventerò una vecchia acida e astiosa).
    un abbraccio grande 🙂

  4. la coniglia dice:

    alla dottoressa 26enne, quindi mia coetanea…un paio di anni di differenza (un paio alla sarda,cioè anche più di due ma meno di dieci) non danno diritto di dire certe minchiate…che alcune anche se sono laureate ne dicono di stupidate!
    Per il resto, sei stupenda, come sempre…

  5. koala dice:

    Un abbraccio e prendi tutto con umorismo, come stai facendo.
    Vedrai che anche questa passera’ in fretta.
    Tino e Frollina attendono, noi aspettiamo di sorridere con i tuoi racconti divertenti.
    bacini

  6. Baol dice:

    Si potrebbe sapere in che zona è la clinica chè se ci sono birrerie vicino le evito? Sai com’è, le infermiere Turbo a volte arrotondano…

  7. Trasparelena dice:

    Ecco, quando è nata il Mostro anche io ho fatto la mia brava gaffè sull’età, con l’anestesista a cui ho detto “eh ma io non sono tanto giovane, ho già 32 anni” e lei piccata “come no? anche io ho 32 anni e non sono mica vecchia!!!”
    Secondo me sono i camici che camuffano l’età!

  8. Primula dice:

    Fantastica come sempre! Adoro che riesci ad ironizzare anche su questo! E’ lo spirito perfetto per una rapida e pronta guarigione.
    Un abbraccio e approfitta per recuperare un po’ di ore di sonno e un po’ di pagine lette 😉

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