Di gerontocrazie lavorative e neuroni che girano

Mi mancava l’odore delle menti che pulsano. Mi mancava il rumore delle idee, tante idee messe tutte insieme in una stanza piccola a far quadrato attorno all’ultimo lavoro. Mi mancava. Me ne sono resa conto oggi. Poi c’è da dire che nella vita io ho provato anche poco la sensazione di chi è ascoltato e rispettato per il proprio lavoro e ora che sta accadendo, ecco, mi sembra un regalo miracoloso del destino.

Mi sono accorta oggi, mentre ero a Firenze nell’ufficio dell’azienda con cui sto collaborando, che mi mancava il lavoro di squadra. Quello che – quando ti metti in proprio e l’ufficio corrisponde ad una scrivania nella tua camera da letto – raramente vivi.

Oggi ero proprio contenta; sommersa dal lavoro ma contenta. Innanzitutto perché – fenomeno raro in Italia, tanto più alla mia età – le persone con cui sto lavorando mi ascoltano, valutano le mie proposte e si fidano del mio giudizio su un lavoro che presumono io sappia fare.  Non è scontato, almeno per me. Prima di mettermi in proprio, quando lavoravo nell’ufficietto, per quanto mi impegnassi, per quanto lavorassi per due e a volte anche per tre e cercassi di risolvere problemi di ogni natura, c’era sempre qualche mummia che – in nome di una gerontocrazia ormai collaudata nel nostro Paese – mi trattava come un bamboccio, come se la mia vita professionale fosse iniziata nel momento stesso in cui loro mi avevano assunto.

In realtà io di anni di lavoro, di esperienze e complessità ne avevo già viste ma agli occhi della dirigenza, ero sempre una sbarba del lavoro.

Ne sappiamo tutti qualcosa, ne sapete anche voi qualcosa. Perché in Italia funziona così. Sei un neolaureato per almeno 5 anni dopo l’Università e rimani uno che deve fare della gavetta e non ha diritto di replica fino ai 33 anni. Comunque.

Di rado nelle aziende tradizionali (quelle governate da persone over 50) il tuo parere, le tue scelte e le tue decisioni valgono qualcosa. Oppure, quando valgono, è perché è necessario che tu ti accolli responsabilità che eventualmente ti potranno scaricare addosso, come al capro di Pennacchiana memoria. Solo non pagato per fare il capro.

Più spesso tu devi concretizzare idee di altri e farlo al meglio e nel minor tempo possibile, ringraziando perché ti è data la possibilità di lavorare e di “imparare” da chi ha più esperienza di te. Anche se a volte questo qualcuno non ha nessuna intenzione di esportare sapere ma piuttosto di creare sudditanza psicologica.

Ecco. Io per lo più ho lavorato in queste condizioni nel mio passato e non credo di fare un torto a nessuno a dirlo, perché nella maggior parte delle aziende funziona così.

Non so se è per via delle rughe, per il fatto che ho una figlia e fare la sbarba non posso più o perché davvero le persone con cui sto collaborando sono molto intelligenti, ma per la prima volta è come se tutti questi anni di gavetta e di lavoro sommerso (che poi altri si prendevano il merito) e di sputaresangue fossero d’un tratto venuti a galla. Ora faccio un lavoro che è abbastanza il mio lavoro e si può discutere con le persone e venirsi incontro e ognuno apporta valore in maniera condivisa e equalitaria.

Mi mancava.

Mi mancava di prendere appunti e pianificare incontri e pensare a come fare questo e quello insieme ad altre persone. Penso di essere molto fortunata perché invece la maggior parte dei lavori sono come erano prima i miei che noi 30/40 enni di oggi siamo costretti sempre a baciare culi e a dire grazie perché c’abbiamo un lavoro – fosse pure a progetto, fosse pure a tempo determinatissimo.

Dobbiamo sempre ringraziare che possiamo fare straordinari non pagati perché significa che nessuno ci darà un calcio nel sedere e dobbiamo ringraziare perché con una bella laurea possiamo fare il lavoro che fino a 10 anni fa faceva un diplomato, chiedendoci ogni giorno a chi cazzo servirà quella laurea sudata e pagata dollaroni sonanti.

Serve a chi comanda. Gli dimostra quanto è disperata la nostra generazione. Sempre pronta a dire si, a qualsiasi prezzo, pur di non finire in un call center. E se – mettiamo – si finisce nel call center (che ci siamo passati tutti!) c’è sempre qualche altro stronzo pronto a ricordarti che c’hai fortuna pure ad essere lì, che non è mica scontato nel 2009 avere un lavoro e allora: “zitto e produci!” e non ti azzardare a lamentarti se devi stare in ufficio ben oltre l’orario o se devi andare al lavoro con la dissenteria.

Poi ci sono anche situazioni come la mia: di fortuna, di vera fortuna. Che fai un lavoro che ti piace e gli altri, dopo quasi 8 anni di gavetta ti ascoltano pure e non c’è il collega idiota che si prende i meriti ne’ il capo ignorante che dispensa consigli paternalistici con il suo culo ben affondato nella sedia del potere e ti racconta quanto devi essere felice perché stai imparando tanto.

Ma di merde ne ho pestate prima di arrivare qui e forse non è nemmeno molto naturale e normale che io ora mi senta fortunata perché a 35 anni suonati c’è qualcuno che mi ascolta e mi dà fiducia.

Voi che dite?

6 commenti
  1. madamefall dice:

    dico Panz che ha scritto tante verità
    Ad una settimana dal mio cambio lavorativo mi sento come te. Ho anche la sfiga di non aver le rughe in viso e qs esser considerata sciacquapiatti a vita non la reggo più.
    Mandandole porprio giùle merde, oltrettutto, non pestandole e basta.
    Dai che qs sarà l’anno della ns riscossa!

  2. la coniglia dice:

    ….sembra che hai parlato per me…ma io sono e mi sento una sbarbata. Però mi impegno e son pronta a migliorare se mi si spiega dove e come sbaglio e come non ripetere i miei errori. Oggi è andata meglio. Grazie 🙂

  3. Alessandra dice:

    Quale regalo miracoloso del destino?! Cara Panz, hai pagato abbastanza, direi: è ora che ti godi un po’ di serenità e sia soddisfatta di te. Baci!

  4. Mammamsterdam dice:

    Panz, purtroppo tu descrivi esattamente i motivi per cui i non rientrerò mai in Italia per lavoro, a meno di non lavorare per/con degli stranieri.

    Ma nel tuo caso vorrei aggiungere questo: non è un caso che tu adesso sia felice del lavoro che fai e dei riscontri che hai. È perché tu sei cambiata, perché tu ti poni diversamente, perché tu sai che questo lavoro lo fai bene e trasmetti che sono loro ad essere contenti che tu lavori con e per loro.

    Purtroppo avere questo tipo di coscienza è praticamente impossibile se entri e ti ritrovi a lavorare come hai appena detto tu.

    Ma se uno in qualche modo ci arriva, poi trova e si tiene le cose belle e impara a dire di no a quelle brutte. E già solo per quella predisposzione d’animo, finiscono per capitargli cose belle.

    Ci credo veramente, che noi esseri umani mandiamo messaggi sottilissi che gli interlocutori captano senza rendersi conto e che li/ci portano ad interagire in un determinato modo.

  5. lorenza dice:

    … Non pensarci più! (alle merde, intendo), e alla gerontocrazia italiana, e goditi questo nuovo lavoro!! Evviva!!

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