La maestra cattiva e la fuga per la libertà

Mia figlia ha già un nuovo soprannome scolastico: cuor contento.

Ieri l’ho accompagnata in bicicletta e mentra la stavo legando e le avevo chiesto di aspettarmi lì accanto, lei era già entrata in classe da sola, pronta a giocare tranquilla con i suoi nuovi amici. Le maestre dicono che sembra che conosca già tutti e tutto, che fa amicizia con facilità e in giardino riscuote enorme successo anche tra i più grandi, che la vogliono a giocare con loro.

Non so da chi abbia preso. Io odiavo la scuola materna. O forse odiavo solo la maestra Clotilde.

La maestra Clotilde era una tizia segaligna e con un grembiulino a righe bianche e rosa che oggi non potrebbe nemmeno metterci piede in un asilo.

Non deve essere un caso che pochi anni dopo il passaggio della sottoscritta sia finita in casa di cura, per un forte esaurimento nervoso. Che oggi non esiste nemmeno più l’esaurimento nervoso.

Lei era crudele. Ogni giorno si inventava modi creativi per punire le marachelle di noi nanetti. Per esempio una volta prese me e mio fratello e ci costrinse a una vera e propria tortura (secondo me era stata in Vietnam la Clotilde, prima di cambiare sesso e nazionalità).

Fece sedere me su una sedia e mi legò (con il nastro adesivo!) le mani dietro la schiena. Sulla sedia di fronte fece salire in piedi mio fratello e lo stesso nastro glielo piazzo sulla bocca (aveva gridato, credo. Cosa che a lei infastidiva molto). Io avevo 5 anni, mio fratello 3.

Siamo dovuti rimanere in quella posizione, a guardarci negli occhi piangendo silenziosamente, per un’ora. Ricordo con esattezza le lacrime che scendevano sulle guance di mio fratello e io terrorizzata che chiamavo la mamma.

Non raccontammo nulla a casa. Lei ci diceva che se avessimo detto qualcosa, il giorno dopo sarebbe stato peggio e noi tutti le credevamo.

Avevo gli incubi alla notte quando sapevo che il giorno successivo sarebbe stato il suo turno. Odiavo quella maestra e le giornate con lei mi sembravano lunghissime. Una volta con Enrico Formichetti, che era mio coetaneo, progettammo un piano.

C’era un cancellino non tanto alto, sul retro del cortile. Potevamo scavalcarlo, al momento opportuno e scappare. L’idea era di raggiungere con l’autostop la stazione, salire sul treno che andava a Zocca e raggiungere la zia di Enrico che lì abitava e – pare – aveva una meravigliosa altalena in giardino. C’era anche il piano di riserva: andare in aeroporto e attaccarci alle ruotine dell’aereo per volare verso mete più esotiche.

Enrico Formichetti ed io, dopo numerosi tentativi, riuscimmo davvero a scavalcare il cancello. Mi ricordo questo sentimento eroico di esempio per tutte le generazioni a venire che sentivo battere nel mio cuore. Non salvavo solo me con questo gesto ma un’intera congrega di bambini torturati dalla Clotilde.

Ricordo, mentre Enrico ed io correvamo verso la libertà, mio fratello che diceva agli altri bambini: “Quella è mia sorella, quella è mia sorella!!!” orgoglioso del mio gesto.

La storia narra che Enrico ed io non riuscimmo a portare a compimento il nostro destino perché ci perdemmo in mezzo agli orti comunali che circondavano le terre di proprietà della Clotilde. Riuscimmo però a raggiungere il palazzo della nonna di Enrico e ci trovarono che raccoglievamo fiorellini nel giardino condominiale.

Ci riportarono in gabbia, sotto le grinfie della Clotilde. Uscii indenne ma fortemente segnata dagli anni della scuola materna e fu solo quando la sottoscritta frequentava la seconda elementare e il mio congiunto l’ultimo anno di tortura materna che le cose cambiarono per quel mostro di maestra.

Fu la sua perversione a fregarla. Aveva beccato mio fratello e i suoi amici fare una gara, prima di pranzo, a chi beveva più in fretta un bicchiere d’acqua e per punirli li aveva costretti a bere tre caraffe tre di seguito.

Inutile dire che si erano tutti pisciati sotto ripetutamente, non appena giunti a casa. Inutile dire che uno addirittura era stato talmente male che lo avevano portato al pronto soccorso e che le malefatte della Clotilde erano tutte venute a galla, in un allagamento di pipì.

Lei fu esonerata dal suo compito (ma era il 1980 e i telegiornali non ne parlavano ancora di queste cose, se no eravamo tutti famosi e la mia fuga per la libertà sarebbe rimasta nella storia!) e spedita a curare il suo esaurimento nervoso.

Lasciò un terrore fitto in chi l’aveva conosciuta.

Per dire che quando avevo 23 anni mi trovavo alla coop con mia mamma. Lei ad un tratto mi disse, indicando un’altra avventrice: “Ma quella non è la Clotilde?”.

A me si ribaltarono le budella e desiderai scappare dietro alle gonne della genitrice.

Io odio la scuola materna.

Per fortuna le maestre della frollina sono dolci e carine e nulla hanno a che fare con la Clotilde.

19 commenti
  1. ba1976 dice:

    ma in che scuola materna eri?????
    ma era una pazza isterica… ecco la mia paura è che gaia non venga a casa a raccontarmele cose così…

  2. la coniglia dice:

    io ero dalle suore…e i miei che avevano un negozio arrivavano sempre in ritardo e tutti i bambini andavano via…io da sola con le suore che iniziavano a mettersi a tavola per il pranzo e non mi davano manco un pezzetto di pane…poi un giorno una si rinfilò la scarpa con la forchetta prima di mangiare. Con la parte delle punte!!!
    Però accidenti la tua non era una maestra d’asilo, era una pazza furiosa da legare in manicomio!

  3. Elisa dice:

    mammamia che brutta storia per fortuna la mia infanzia è stata segnata dalla maestra Nerina che ancora lavora all’asilo e ha cresciuto intere generazioni di miei compaesani , l’unico rimprovero che le potevo fare era il costringermi a pisolare sul tavolino ma per il resto della giornata la adoravo 🙂

  4. Panzallaria dice:

    Ero in una scuola di Tortellinicity città. Nomi di persone e luoghi sono quasi sempre di fantasia sul mio blog (o storpiati). La maestra Clotilde non si chiamava Clotilde e anche Enrico Formichetti aveva un nome simile ma non quello…

  5. ba1976 dice:

    scusami panz! non metto più nome del paesello in cui siam cresciute. Sorry.
    La mia delle elementari si chiamava Romilde invece, ma per davvero. Anche lei parecchio gestapo ma bravissima quindi le si perdonava un pò tutto.

  6. supermambanana dice:

    e il prossimo che dice che la nostra infanzia si che era felice senza telefonino e compagnia bella gli chiavo ‘na cosa ‘n’fronte

  7. Mammafelice dice:

    Io sono andata all’asilo dalle suore e anche lì i racconti alla oliver Twist si sprecano.
    Al mio tavolo c’era una bimba che non voleva mai mangiare, e così per umiliarla ci facevano stare seduti tutto il pomeriggio al tavolo finchè lei non finiva.
    Porella, tra un conato e l’altro, passavamo 4-5 ore in quella posizione assurda.
    Un’altra volta bagnai la tovaglia di acqua. Per punizione mi fecero stare per un’ora al sole a tenere la tovaglia con le mani in alto per farla asciugare.
    Io ODIO le scuole delle suore.

    Poi alla fine c’è un Tino in ognuno di noi, vedi? :))

  8. Hoshi dice:

    Io avevo ben DUE maestre terribili, una magrissima e alta, l’altra terribilmente cicciona e nana, insomma, la copia cattiva di Stanlio & Ollio. L’asilo fu un incubo, bastava sporcare, per sbaglio, il banco con i pennarelli e gli schiaffi te li ricordavi per una settimana. E a casa, la mamma nemmeno ti credeva. (Stiamo parlando del 1987)

  9. Pocahontas dice:

    Ah, pero’! L’infanzia di Tino, in confronto a questi racconti di signorine Rottermeier, fughe da asili-lager, torture cinesi sembra incredibilemnte felice.

  10. Slim dice:

    Le suore al mio paesello erano invece buonissime, infatti chi e’ andato all’asilo da loro se le ricorda ancora con affetto.

    E” vero Panza: con questo racconto batti tutti i racconti di Tino in un colpo solo!!!

  11. Elena dice:

    caspita che brutta esperienza! Vabbé che si cresce, però vedi come ti rimangono le sensazioni di terrore anche da adulta.. w le maestre di oggi!!

  12. Nene dice:

    Io ho appena compiuto 20 anni e ancora mi porto dietro i traumi che mi hanno causato le maestre delle elementari.. maestre che fisicamente, oltre a qualche raro cieffone, non alzano mai un dito ma la violenza era solamente piscologica: non ci facevano mai giocare, ci mortificavano sempre, ci deridevano se eravamo un pò paffutelli (io lo ero, sono golosissima di dolci 🙂 ) e quando qualcuno di noi faceva qualche cosa che a loro non piacesse venica rinchiuso in qualche stanzino vuoto a tempo indefinito, credetemi ci si sentiva abbandonati. Ciò era di routine
    Io inizialmente reagìì chiudendomi, non parlando più e esplodendo in pianti isterici al solo pensiero di dove randare a scuola. Poi iniziai a trattare male le persone tanto quanto venivo tratta male io perchè pensavo fosse normale “tale atteggiamento”.
    Ovviamente ai miei genitori non raccontavo nulla.
    Tutto venne poi alla luce perchè parlarono gli altri ragazzini ma la conseguenza fu: nessuna denuncia, solo un “cazziatone” da parte dei nostri genitori e della Preside, anche se ormai era troppo tardi.. eravamo già in 5° elementare.
    Tendenzialmente sono una persona molto emotiva che si tiene tutto dentro e inutile dire che con l’andare avanti nel tempo le cose peggiorarono solo anche perchè purtroppo la vita non è sempre rosa e fiori e perciò, accomulando anche altri dispiaceri (anche banali) ho inziato ad avere problemi di Depressione (all’età di 10 anni, uscita con le mie solo forze dopo 5 anni), Anoressia, Bulimia (all’età di 17 anni e superati 2 anni fa), repulsione della scuola e dello studio, Attacchi di panico (paura dell’abbandono) e Insicurezza profonda di me e delle mie capacità.
    Ora, finito il liceo, ho abbandonato gli studi e sto lavorando come segretaria in un ufficio, qui adesso sto bene: guadagno, ho tante soddisfazioni, sono molto più indipendente (oltre ad aver conosciuto persone fantastiche) e ho molto più tempo per Me così che posso tentar di risolvere anche questi ultimi piccoli problemi che mi sono rimasti. 🙂

    • Panzallaria dice:

      @irene: io non posso che incrociare le dita e farti tanti auguri perché tu possa trovare serenità. ricordo i 20 anni come tempi di “lotta” perché prima di trovare la strada giusta per ognuno, bisogna sperimentare e non sempre senza fatica. Ma tu mi sembri su un’ottima strada perché stai tentando di fare quello che tu pensi essere il meglio per te. un caro abbraccio

  13. Nene dice:

    🙂 Ti ringrazio di cuore!! e ricambio con affetto l’abbraccio a Te e alla Tua bambina 🙂

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