Questo è un post molto triste sulla condizione delle donne e delle madri in particolare

Ieri sera stavo cercando questi due articoli:  Blue Is the New Black di M.Dowd (New York Times) e la reazione italiana La paura delle donne: stiamo diventando sempre più tristi di M.L. Rodotà (Corriere della Sera) che mi sono stati segnalati.

Perché noi donne, noi italiane (ma è una situazione evidentemente allargata) stiamo attraversando di certo una fase molto particolare e volevo confrontarmi con questi articoli per fare il punto su alcuni pensieri confusi che ho elaborato in merito.

Il caso ha voluto invece che la mia attenzione fosse totalmente catturata su una strage familiare.  Vicinissima geograficamente. Dietro l’angolo di casa. E per nulla – purtroppo – fuori tema.

E lo sappiamo tutti. E’ banale. Ma le cose più ci sono vicine più ci colpiscono. Ho pianto molto. Ho passato un po’ di tempo a fissare incredula e angosciata mia figlia, nel suo lettino, dopo aver avuto questa notizia.

Mi sono accorta che il mio dolore dipendeva in larga misura da un fatto talmente atroce da non poterlo nemmeno mentalizzare, ma in parte dipendeva dalla consapevolezza che Erika era una donna COME ME. Come noi.

Una donna che prima di uccidere i due figli, ha lasciato una lettera in cui dichiarava di sentirsi abbandonata.

Anche se probabilmente parenti e amici cercavano di starle vicini, la sua disperazione si era mangiata tutto. Mi sono resa conto che non la capivo ma la comprendevo.

Che quando cammini sul filo della depressione, come capita a molte persone, a molte donne (a me è capitato) è un attimo perdere l’equilibrio.

E un momento nero si può trasformare in tragedia.

Ho pianto pensando che avrei potuto essere io. Che avrebbe potuto essere una di voi. Che a volte ti ritrovi con dei figli piccoli, a chiederti se sei una brava mamma, a chiederti se sei in grado di aderire al modello che tu stessa ti sei imposto: madre affettuosa, professionista di successo, amica, moglie. Come nelle pubblicità del “Mulino Bianco”. Le stesse che ora, i vicini increduli, evocano parlando di questa famiglia distrutta.

E senti invece salire l’inadeguatezza, il mostro del confronto con i tuoi stessi parametri e misuri i tuoi successi e insuccessi in base a modelli preconfezionati che col tempo abbiamo imparato a conoscere e a cui crediamo di aspirare o dovere aderire.

E di fronte al mostro dell’inadeguatezza, al senso di incomprensione che ogni giorno ti sembra arrivare dall’esterno, così attento ad applaudire i tuoi successi ma anche prodigo di consigli che aderiscono al modello ma forse non a te, incominci ad ammallarti. Covi dentro prima la tristezza, poi la rabbia, ed infine la paura.

Poi io qua mi fermo. Che oltre non sono mai andata.

Mentre Erika ha fatto il salto. Una sua scelta e non la giustifico. Non trovo ragioni a un orrore tanto grande. Però sento pietas. Sento comprensione. Mi sento in colpa anche un po’.

Come donna.

Perché ogni volta che la vita di un bambino fugge per mano della propria madre, che la vita di una madre fugge perché c’è stato un cortocircuito con il resto del mondo, mi sento un po’ fallita anche io.

Perché noi donne, invece di sostenerci DAVVERO siamo sempre lì, pronte a confrontarci e a metterci in competizione. Succede ovunque. Nella realtà vera, nella Rete.

Ed è sempre una competizione poco sana. C’abbiamo la sindrome della prima della classe. Siamo i pavoni che devono fare la ruota per farsi notare dai maschi (essi stessi pavoni che fanno ruote), per dimostrare al mondo che POSSIAMO tutto. Che possiamo essere delle mamme, delle manager e intanto non ci dimentichiamo nemmeno delle esigenze sessuali del nostro compagno.

Sappiamo quale passeggino prendere per Paolino e sappiamo anche come si cucina un passato di verdure. Partoriamo e ci mettiamo la panciera perché vogliamo tornare in forma in fretta, che sia mai che al lavoro, qualche mese dopo, un’altra donna vociferi che ci siamo sfasciate a causa del parto.

Perché nella corsa rincorsa al Mulino Bianco, non importa se lasciamo per strada qualcuno.

E nessuno ci ha mai insegnato a solidarizzare davvero.

Io dico che dovremmo imparare la rivoluzione. Che dovremmo smetterla di preoccuparci di percentili dei bambini e accrescimento corretto e allattamento artificiale si e allattamento artificiale no. Che dovremmo cominciare a fare figli e metterli a dormire nei cassetti, invece di comprare la cameretta all’ultima moda, che i nostri figli hanno bisogno di mamme vere e non mamme di plastica.

Come Barbie nella sua villa a tre piani con l’ascensore e lo sformato nel forno.

Torniamo all’essenziale della vita. Inventiamoci esistenze nostre senza scimmiottare quelle che dovrebbero essere le esistenze di donne realizzate del terzo millennio.

Aboliamo la parola “inadeguatezza”. Cominciamo a volerci bene. A riderci addosso. A carezzarci le cicatrici. Facciamolo sul serio e facciamolo fare ai nostri compagni. E se un compagno non c’è, facciamo in modo che il nostro mondo sia ricco secondo i parametri che vogliamo noi.

E non secondo il vocio indistinto che sentiamo dal parrucchiere.

E poi – diobono – cominciamo ad ascoltare le nostre simili. Adottiamo un’amica. Davvero. Non lasciamo che la nostra ansia di essere perfette, migliori, brave, buone, belle e sexi ci metta fette di prosciutto sugli occhi.

Di Erike ce ne sono ovunque. Ce ne è una dentro ognuna di noi. Evitiamo davvero che cada da quel filo.

(grazie a Tino, Frollina, Adele, Babi, Dani, al consesso,  a mia madre, a supersponk, Orlando) che mi hanno evitato di cadere dalla mia corda quando era veramente molto lisa.

27 commenti
  1. Elisa dice:

    che male che fa sto post… davvero in un modo o nell’altro cadiamo tutte nello stereotipo di donna super.
    Ricordo che qualche mese dopo la nascita del mio primo figlio una collega (già madre di due figlie) mi vide per gli anditi degli uffici e si congratulò con me per la nascita, io le dissi che ormai il bimbo era nato da tempo, aveva già compiuto dieci mesi. Lei fece solo un “ah..” e mi guardò da capo a piedi e io non lo dimenticherò mai quello sguardo, perchè io non sono una che recupera bene dopo i parti e forse sembravo una puerpera appena dimessa e invece lei era ed è in formissima… e ci sono caduta anche io in quel senso di inadeguatezza. Poi mi son ripresa, riesco a buttarmele alle spalle ste cose ma è vero, ci possiamo finire tutte quando meno ce lo aspettiamo.
    Un bacio

  2. Chiara dice:

    L’analisi va fin troppo bene. Però ti confesso che la proposta non la capisco. Non del tutto. E questo mito della “mamma vera” mi sembra ancora più insidioso di quello del Mulino Bianco.

  3. extramamma dice:

    Meno male che te la prendi con il Mulino BIanco e così sono riuscita a sdrammattizzare e a leggere fra le righe!
    Quello che dici è molto triste e molto vero. Anch’io sono rimasta sconvolta e poi sul giornale, non so se hai visto il cartaceo, di fianco c’è la lista delle altre poverette che hanno fatto altrettanto. Depressione post partum e affini. Poi i commenti: sembrava stare bene, una mamma qualunque…i mariti che non sapevano, non capivano. Adesso è un po’ fuori tema, ma ti ricordi la strage di Novi Ligure? Erika e Omar? Il papà mentre la figlia faceva la mattanza era a giocare a calcetto.
    I mariti non vedono, non capiscono, non vogliono sentire. Sono tutte pippe delle mogli.
    Le altre donne, le “amiche”-come giustamente dici tu-ti giudicano e ti viene la sindrome della prima della classe. Per stare bene ci vuole un gran coraggio. Il coraggio di accettarsi nel bene e nel male, di non volersi adeguare a tutti costi, come scrivi, al modello di perfe-finzione.

  4. Panzallaria dice:

    @chiara: dopo che l’ho scritto, ho pensato: “però forse non sono stata chiara, alla fine anche io propongo un modello, facendo degli esempi” che non era quello che volevo dire. cioé i miei sono esempi a caso. quel che volevo dire è che secondo me dobbiamo ciascuna abbandonare il modello e cercare di liberarci del fardello di assomigliare a quello che ci sembra giusto dover essere e seguire le nostre inclinazioni (che magari per una sono in un modo e per l’altra in un altro). per ciò hai fatto proprio bene a puntualizzare.

  5. la coniglia dice:

    Non essendo mamma questi fatti mi fanno male, ma non certamente come potrebbero toccare chi ha figli e vive una condizione decisamente dalla mia. Ma nonostante questo le tue parole mi hanno fatto riflettere sulla condizione della donna e su come spesso finiamo per avere ideali davvero irraggiungibili per chiunque. Ma chi diavolo ce li mette in testa se nessuno riesce poi a tenergli fede? Si, avere delle amiche è sempre più difficile. Mi dicono che è colpa dell’età che più cresci meno puoi trovare delle amiche, ma io non ci voglio credere. Trovo stupida questa cosa. E voglio farmi delle amiche anche a 80 anni. Magai ai giardinetti, come quando eravamo bimbe…

  6. M di MS dice:

    Ciao Panz.
    Sono d’accordo. A volte viviamo sconnesse dal mondo e connesse ad internet, sconnesse da noi stesse, da ciò che ci sentiamo di essere per sembrare un’altra cosa: più adatte, più competitive, più intelligenti. Stasera mi sento molto triste. Anzi, è già un po’ di giorni, anche se non dovrei.

  7. monica dice:

    Condivido il fatto che i nostri figli hanno bisogno di madri vere, che siamo sempre sotto giudizio delle altre mamme ma…. gli uomini dove sono finiti? quelli veri, con le cosidette “palle”.
    Noi simao diventate più forti, ci accoliamo anche la loro parte (non è giusto…nè per noi, nè per loro, men che meno per i figli) e loro??? Sono confusi..spesso lasciano i bambini nel lettone con la mamma e loro vanno sul divano…perchè? Perchè non s’impuntano e fanno ciò che spetta all’uomo, mettere il bambino nel suo letto anche se un pò piange….
    Ho il magone UOMINI TORNATE A FARE GLI UOMINI….DONNE LASCIATE LORO SPAZIO DI MANOVRA
    Scusate lo sfogo

  8. smile1510 dice:

    ciao panz. a volte siamo noi donne le peggiori nemiche delle donne, perchè ci guardiamo con gli occhi degli uomini (il corpo delle donne) e questo è tristissimo.
    ho seguito un po’ questa vicenda e tutt’ora ci sto male.
    io non so se in questo caso la depressione fosse comunque già latente o se sia sfociata dopo la separazione, non so se la rincorsa al modello Mulino Bianco ne sia la concausa, fatto stà che il gesto dà da pensare a tutte noi, persone in primis, donne e poi mamme. non è facile abbandonare gli steriotipi e i modelli di cui siamo infarcite fin da piccole e per questo forse la strada che si dovrebbe percorrere, come hai scritto, forse più fruttuosa se veramente si riuscisse a metterla in pratica, è mettersi in ascolto dell’altro, essere presenti e vicini… mah. comunque sono triste e vado a letto triste. notte smile1510

  9. Slim dice:

    E’ vero quello che dici,il tuo e’ uno sprono a scollarci di dosso l’inutile per focalizzare l’essenziale, pero’ e’ anche vero che chi soffre cosi’ tanto non sempre si lascia aiutare. Non sono un’esperta, e’ difficile parlare di queste cose come e’ difficile proporre una soluzione. Ma e’ difficile far crescere le “antenne” quelle che ti fanno capire che la situazione e’ piu’ drammatica di quanto si pensi. C’e’ la paura di essere invadenti, di offendere, e perche’ no? di non saper come aiutare.

  10. manuela dice:

    Non sono ancora mamma (spero di diventarlo a breve, a dire il vero) ma ringrazio mia Mamma e mio Papà per avermi cresciuta senza troppi bisogni “extra”. Li ringrazio per i NO alle mie richieste di jeans firmati quando avevo 10 anni. Li ringrazio perchè, in sincerità, mi dicevano: “questo mese ci sono 2 bollette alte da pagare. Puoi aspettare fino al prossimo mese e vediamo se possiamo comprare lo zaino dell’Invicta?”. Li ringrazio per le parole di conforto, sempre e comunque. Li ringrazio perchè quando guardavamo la TV insieme (sempre) mi spiegavano che “the real life” era un’altra cosa. Ringrazio gli straordinari di Papà e il lavoro in fabbrica di Mamma per avermi dato una buona istruzione, contributi per i viaggi quando era possibile,i pranzi allegri della domenica, le sgridate necessarie, gli sguardi di comprensione e quelli di dissenso. Adesso ho 33 anni, da 3 anni ho scelto di lasciare l’Italia perchè lo reputo un paese invivibile (e qui ne potrei parlare per ore…) e i miei genitori mi mancano tanto. Ma soprattutto, ringrazio “l’entità” per averli ancora, sempre e comunque al mio fianco. Forse sono andata fuori tema, ma ci tenevo a scriverlo. 🙂
    Manu

  11. angela e giorgia dice:

    che bel post,panz,molto bello.
    condivido tutto,davvero…hai detto delle cose belle,che condivido e sento dentro anche io.
    ti seguo sempre,anche se scrivo meno..un abbraccio.

  12. ale dice:

    Proprio questi giorni sto leggendo “Ancora dalla parte delle bambine” di Loredana Lipperini, che ti apre gli occhi su quello che si insegna ai bambini e alle bambine, a partire da quando noi-mamme eravamo bambine, sui modelli assurdi che vengono propinati e inculcati , e assimilati già prima dell’età scolare. Modelli di perfezione per la donna a cui è impossibile arrivare, che fanno sempre sentire inadeguate, schiacciate, o insufficienti, come se ci mancasse qualcosa: consiglio a tutte di leggerlo, innanzitutto per rendersi conto del filtro con cui, senza rendercene conto, vediamo il mondo e noi stesse, e poi per i nostri figli, per evitare di dare loro la visione del mondo distorta che è stata data a noi. Per vedere e superare i condizionamenti, e tornare all’essenziale.

  13. igra dice:

    A parte che trovo orrendo pubblicare le foto di quei bambini… Questa donna stava male da sempre, e come diceva il marito, non se lo riconosceva. Cosa vuoi fare in questi casi? Non puoi fare niente, se la persona non chiede aiuto e non vuole farsi aiutare. Non so quanto queste tragedie c’entrino con i modelli che la società cerca di imporre. Non credo che una donna non affetta da un grave disagio psicologico possa fare QUEL salto. Poi sì, sarebbe bello aiutarsi di più, stare più vicine. Ma a volte non ce la si fa. Io al mito della sorellanza non credo tanto. Ahimè.

  14. Elena dice:

    le riflessioni che hai fatto Panz riguardano secondo me il punto cruciale della vita di ogni donna. Se neanche troppi anni fa l’obiettivo di vita di una donna era mettere al mondo dei figli e creare una famiglia, ora oltre a questo che resta fondamentale c’é tutto un corollario di sottobiettivi che purtroppo non è meno importante e quindi ci sentiamo fallite se qualcosa va storto, dimenticando l’essenza delle cose e della nostra felicità. Con tutto il resto che consegue ovviamente (ci sentiamo derise per la forma non perfetta del post parto ecc..). Hai proprio ragione sul fatto che dovremmo comunicare di più, non isolarci e cercare di prenderci un po’ più in giro, ma non è facile quando si investono fatiche sulla costruzione di sé.. per quanto mi riguarda.. senza arrivare agli estremi io un po’ mi riconosco nella sidrome di “prima della classe”… cacchio se non sono “perfetta” ci sto proprio male!! e poi, chissà che cosa pensano gli altri!! mannaggia a me!

  15. Panzdelterrore dice:

    @elena: siamo tutte così. secondo me è un problema culturale e una scelta “generazionale” che abbiamo fatto tutte quante.
    @igra: secondo me non si tratta di “sorellanza” però credo che siamo talmente abituati (uomini e donne) a sentire rumori di fondo che a volte anche i gridi di aiuto ci sembrano parte di un chiacchiericcio indistinto (e questa è una critica che muovo prima di tutto a me stessa, forse per altri non è la stessa cosa, per quanto mi riguarda troppe situazione border le guardo senza poi alla fine fare nulla).

  16. fra dice:

    Io non sono mamma ma la depressione la conosco bene. So cosa vuol dire sentirsi sempre sbagliate e sole, anche quando c’è qualcuno attorno che ti dice che tutto va bene. So cosa significa svegliarsi alla mattina e sentirsi morte dentro, svuotate, senza nessuna voglia e forza di lottare e andare avanti. So come ci si sente guardando gli altri e pensando che loro riescono a vivere mentre tu no, tu sei ferma, una debole e incapace che non riesce più a fare nulla. E così capisco Erika, non la giustifico ma la capisco. E purtroppo non basta scrollarsi di dosso un modello precofenzionato dalla tv o dalla società. Perchè la prigione in cui la depressione ti rinchiude purtroppo ce la creiamo noi, a prescindere. Un abbraccio
    fra

  17. Francesca dice:

    Un grazie anche a te per scrivere così bene quello che davvero si prova di fronte a tragedie così vicine che quasi si confondono con la nostra vita.
    Un grazie in particolare perchè nel mio momento buio (sarà passato?) anche tu sei stata tra i raggi di speranza e di luce ai quali mi sono attaccata. Una di quelle amiche che non giudica, ma aiuta e consiglia senza altri commenti.
    Bellissime le parole “Adottiamo un’amica”. Siamo troppo competitive, troppo stronze l’una nei confronti delle altre solo perchè non siamo in ordine o all’ultima moda e dobbiamo sempre nascondere le nostre insicurezze e i nostri difetti.
    Un abbraccio.

  18. mammaemigrata dice:

    Come sempre davanti a certi fatti provo pena, ma non per chi li commette, quanto per chi li subisce. Sarò polemica, mi direte che sono anche magari cattiva, ma io di fronte a queste cose penso che chi commette questi atti è un grande egoista. La depressione l’ho vissuta attraverso mia madre, e so che chi ne soffre vuole a volte farla finita, ma non ha praticamente mai l’intenzione di uccidere altre persone. Ho vissuto anche io una separazione devastante, gravi problemi finanziari, la morte di mio padre, tutto insieme. E tutto lontana dalla mia famiglia. Quindi so come si sta male, ma da lì a decidere di uccidere i tuoi figli, il passo è mooolto grande. Il gesto è quantomeno vigliacco e, ripeto molto egoista. Perchè loro? Cosa c’entrano? Avevano tutta la vita da vivere, come si può pensare di trascinarli con sè? Non solo non potrò mai giustificare, ma nemmeno potrò mai capire.

  19. elisa dice:

    Senti un po’. La prima cosa che mi viene in mente di scrivere è:GIU’ LE MANI DAI BAMBINI!!”E questo grido, condiviso da tutti, non può valere solamente per i pedofili, ma anche per tutte le Medee di questa terra che non sono riuscite a mettere da parte il prorpio Io per il loro bambino.
    A tutti capita di vivere momenti difficili. Tutti, ricchi e poveri, stiamo sotto questo cielo. Ma è un nostro sacrosanto dovere essere forti quando ci sono mezzo i bambini. Non vacillare mai quando si pensa al loro bene.
    Io non lo so a che pensava questa disgraziata mentre uccideva i suoi figli. Non credo affatto al loro bene.
    Lo so che la depressione è una brutta bestia, ma qui non c’è in gioco solamente la malattia mentale ma anche l’incapacità nostra di vivere nelle difficoltà quotidiane, più o meno gravi. Svegliarsi la mattina e mettere i piedi giù dal letto a volte comporta più sofferenza che dormire per sempre.
    Ma noi la prima dobbiamo scegliere, abbiamo dei doveri, come genitori, cui non possiamo esimerci per nessun motivo.

  20. Panzallaria dice:

    @elisa: tutto condiviso quello che scrivi. Io non riesco proprio a giudicare francamente perché di fronte a tanto orrore mi si annichilisce un po’ la mente e fatico a capire cosa possa passare per la testa di una persona che arriva a tanto e perché. Anche io penso che i figli e la loro vita vadano sempre preservati e che non vedere una via d’uscita per se’ non debba mettere in gioco il futuro dei nostri figli. Ma sono pensieri razionali che credo chi nutre un’angoscia tanto profonda non riesca più a fare. Non so davvero. In questo post ho volutamente messo l’accento solo su uno dei numerosi aspetti perché gli altri, proprio, non mi sento in grado di esaminarli, tanto meno di dare un giudizio.
    Il dato oggettivo, ovviamente, è totalmente orribile e parla già da solo. Ma mi chiedo Elisa: secondo te è possibile riconoscere queste Medee??? non è un filo sottile quello che passa tra la depressione e la tragedia? non so guarda…

  21. elisa dice:

    Il problema , forse, non è saper riconoscere le Medee, ma evitare che, negli anni, diventino tali.
    Cerco di spiegarmi meglio. Mi pare che viviamo in una società che, da un lato da molte più opportunità (almeno se uno può e sa coglierle) e dall’altro non lascia alcuno spazio ai più deboli, alle persone emotivamente fragili.
    C’è molta solitudine.
    Guarda, la mia bisnonna ebbe , ai primi del ‘900 due figli da due uomini diversi, il secondo dei quali non venne neppure riconosciuto. Questo piccolo nucleo familiare crebbe in una famiglia più allargata, che ricomprendeva vari fratelli e zii.E crebbe sano e felice, anche se non andava a danza 2 volte la settimana.
    Capisci bene che, pur nelle difficoltà, qualcuno fisicamente ti era sempre vicino.Per i momenti belli e quelli brutti. Meglio litigare e confrontarsi che stare in pace da soli.
    Ora dimmi dove trovi realtà simili.
    Quando la mia nina era molto piccola e non c’era mio marito in casa cercavo qualcun’altro con cui stare, mia madre , ad esempio
    E si torna al discorso di facebook. La compagnia e le “amicizie” come illusioni, come creazione fittizie, perchè, alla fine, di carne siamo fatti e la presenza fisica è l’unica cosa che conta.Avremo tutto il tempo per essere spiriti 😉
    Ecco, per arrivare al dunque, ciò di cui tutti, ma soprattutto queste persone più fragili avrebbero bisogno, è una fisicità costante e consolatoria. Una specie di nord quando si perde l’orientamento.
    Le sirene di oggi sarebbe troppe anche per ulisse!

  22. Chiara dice:

    Personalmente temo che ci sia una Medea in agguato dentro molte di noi (non dico tutte, ma forse lo penso). Il che tra parentesi spiega anche il fascino eterno di quella tragedia e del mito a cui si ispira. Concordo sul fatto che la solitudine consente ai mostri interiore di colpire indisturbati. E oggi si è molto soli, mediamente.

  23. Quick dice:

    I problemi sono cose scomode delle quali parlare, creano imbarazzo, per esempio parlare della propria depressione, del disagio, della tristezza, non sta ‘bene’. Certo non posso esprimermi sui casi estremi. Però io sono dell’idea che aiutare gli altri aiuta noi stessi a ridimensionare le cose; io ho ‘adottato’ un’amica che si sta separando (e mia figlia di 21 mesi suo figlio di 2 anni), e l’ho fatto tre giorni dopo aver abortito per trisomia 21 (a lei non ho detto niente). Sto aiutando più me stessa che loro!

  24. fabiana dice:

    Leggendo il post mi sono trovata on gli ohi velatie epensieri in libertà…inredula per l’ennesima volta di come la vita possa essere bella ed un inferno al contempo…di come una madre si senta libera di uccidere se stessa ed i propri bimbi…e sopratutto….ma il povero ex marito ed ex padre? anche lui ormai ha una non vita…una famiglia distrutta d un solo gesto….dettato dalla depressione, ma anche e sopratutto da un senso di sonfitta vitale personale,che si è riperosso su quattro vite!!!!!!!!
    Personalmente non mi sento in grado nè di giudiare, nè di capire….non sono una psicologa, non sono madre, ma sono una donna he vive quotidiamente questo status, on ansie, dubbi e gioie, e semmai avrò dei bambini, credo he non mi sentirò mai abbastanza libera di toglierli la vita solo perhè gliela ho regalata…..
    Per quanto riguarda il motto”l’unione fa la forza”, sono d’accordo con Panzallaria, ma non dimentichiamo che a volte ciò non è possibile…
    baci
    Faby

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