Lo sbarco in Normandia

Se lo trovavano tutti i giorni al banco, all’ora di apertura pomeridiana. Sgamba padre non si accorgeva neanche che fosse entrato. Si appoggiava con un gomito, puntando sicuro al suo Fernet. A volte – quando era di quaresima e la moglie lo guardava torvo, che bere di quaresima sembrava brutto – a volte prendeva dei caffè. Ma erano sempre caffè corretti, roba da sciogliere il freddo che diceva di avere nel cuore.

Perché il Signor Bonazzi,  conosciuto da tutti come il Bourdigòn, per via che non era proprio un bel omarino da guardare, il Signor Bonazzi i suoi tempi d’oro li aveva avuti ma adesso erano solo nella memoria. I tempi d’oro del Signor Bonazzi, impiegato all’Ente Case Popolari e inquilino di una casa ricevuta in affitto dall’Ente stesso, risalivano agli anni della guerra e lui se li ricordava bene.

Se li ricordava fin nei dettagli, tanto che c’erano dei giorni che a furia di bere dei Fernet, finiva che riusciva a raccontare per ore una delle sue storie della guerra e ogni volta si aggiungeva un particolare nuovo, cosa che probabilmente dipendeva mica da invenzioni o fantasie, ma dal fatto che con il Fernet la memoria si migliorava e ogni giorno, un Fernet dopo l’altro, venivan fuori delle storie che si diceva che perfin la Madonna di San Luca scendesse ad ascoltarle, in certe sere di maggio.

Il Bourdigòn, quando si mettevano i tavolini fuori, si sedeva sempre a mezzo tra la compagnia dei giovanotti e gli anziani che giocavano con le carte e bastava che qualcuno, anche solo per un caso fortuito, gli rivolgesse una parola e attaccava con la sua tiritera raccontarella e si facevano delle ore ben strane, a star dietro alle sue storie.

Per esempio raccontava di quando una volta lo avevano invitato a cena certe contesse di Bologna che non si capisce bene come le avesse conosciute e alla fine si era ritrovato a sedere di fianco al Duce, il quale – secondo quanto narrava il Bonazzi – gli aveva confidato di soffrire di terribili coliti che lo facevano stare molto male.

Il Bonazzi che era brutto come la morte ma si autodefiniva di cervello fino, ecco gli aveva consigliato di masticare della menta, che la menta sgonfia e sua nonna ne andava sempre a raccogliere dei mazzi, nei campi, per averne da masticare in quantità, lei che soffriva di alito cattivo e anche di pancia gonfia. Era anche un po’ per questo che ogni tanto al Bonazzi, invece del Fernet normale, ci piaceva prendere il Branca Menta, che – diceva – era in memoria della sua povera nonna dall’alito pesante e il cuore grande che consumava moltissima menta e si massaggiava sempre la pancia per via dei fastidiosi e imbarazzanti rumori che produceva.

Ma comunque, per tornare al nostro Duce che a quanto diceva il Bourdigòn, quella sera era a cena dalle contesse, ecco gli aveva dato questo consiglio e alla fine, circa un mese dopo, il Duce gli aveva fatto avere in caserma una lettera di ringraziamento perché era proprio vero che con la menta era guarito e infatti, se ve lo ricordate, Mussolini nel 43 non c’aveva più quello sguardo contratto tutte le volte che faceva un discorso, perché masticando la menta come sua nonna, anche a lui gli era passata la pancia gonfia.

Poi delle volte, se era in buona e il Lungo lo pungolava un poco, che c’erano dei giorni che il Lungo e lo Ianes passavano le ore seduti al tavolino senza trovare dei validi argomenti di sollazzo, allora se il Lungo lo pungolava bene, ecco il Bonazzi, c’eran delle volte che raccontava anche il suo cavallo di battaglia.

Il cavallo di battaglia del Bourdigòn riguardava i momenti cruciali della storia, quelli che cambiarono le sorti del mondo.  Perché ci sono le persone che rimangono degli anonimi per tutta la vita e poi ci sono gli eroi della storia e – modestamente – il Bonazzi era uno di questi, solo che viaggiava in incognito.

Proprio eroe magari no, ma solo per un soffio, per un piccolo contrattempo e per  il destino malandrino, che a volte ci si mette in mezzo per rovinare tutto.

D’altronde amava dire il Bonazzi che “Al galainn ingòurdi a i crèpa al gôss.” e dato che lui non era mica una gallina e nemmeno ingordo da strozzarsi,  andava bene così che tanto il Signore lo sa su chi può fare affidamento e di certo sapeva che il Bourdigòn era uno su cui poter contare.

Insomma, per farla breve, lui quel giorno dello sbarco in Normandia, gli era capitato che avesse scovato un sommergibile tedesco abbandonato proprio all’altezza della Chiusa del Reno, a Casalecchio e  che si fosse convinto che doveva contribuire alla liberazione – lui che non era proprio un amante dei Crucchi tedeschi, terribili cartoffen – ed era pronto a partire per la Francia.

Era talmente pronto che c’aveva pure una mappa dettagliata, preparata nei mesi precedenti dato che gli erano arrivati dei messaggi che stava per succedere qualcosa in Normandia, anche se non sapeva bene cosa perché gli alleati erano furbi e non è che facevano trapelare molto dei loro piani per liberare l’Europa dai cartoffen.

Dunque, in sintesi estrema, lui era già pronto sul sommergibile e aveva in mente di uscire dal Reno, infilarsi  nell’Adriatico e poi fare tutto il suo bel giro e arrivare in Normandia.

Bologna però, che è una gran bella città e ci sono tante cose da vedere e da fare e come sono belle le donne a Bologna mica succede da tutte le parti di Italia, e come si mangia bene dalle nostre mogli, non si mangia mica altrettanto bene fuori, ma ecco, una cosa che manca a Bologna sono di certo le pompe di carburante per i sommergibili.

Che a noi gente comune, poco abituata a far parte della storia mica viene in mente, ma il Bonazzi quel giorno si trovò in malarnese perché era finito il carburante al sommergibile e di trovarne di  buono non ci fu modo, tanto che lui che doveva fare la storia, che con la sua intelligenza fina lo aveva capito che quel giorno di giugno era giorno di storia, finì a saraccare lungo le rive del Reno, con un sommergibile a secco e tante buone idee libertarie.

E quando ci ripensava, tutte le volte, al Bonazzi gli salivano le lacrime agli occhi che l’unico rimedio era bere un altro Fernet e ripensare a Mussolini che almeno in quella occasione, anche se lui era un antifascista, ecco almeno quella volta lì era stato nella storia.

Solo che – boia di un giuda – la lettera che gli aveva mandato Mussolini per ringraziarlo della menta, ecco quella lettera era rimasta dentro la casa quella volta che erano sfollati per via del bombardamento e non c’era più nemmeno la prova.

Ma quando qualcuno si metteva a ridere ad ascoltare i racconti del Bourdigòn,  lui lo guardava torvo e finendo il bicchiere in un sorso diceva sempre:

“Non fosse stato per il gasolio, boia d’un giuda ladro, adesso te saresti qui a baciarmi il culo! ” e tornava allegro e sereno, nell’attesa che la moglie lo chiamasse in casa per la cena.

2 commenti
  1. la coniglia dice:

    quando leggo i tuoi racconti mi sembra di bermi un sorso di aneddotica fresca fresca…meraviglioso 🙂

  2. rocciajubba dice:

    Mamma che bella storia!
    Ci son personaggi che nelle storie di Emilia ci sembrano dipinti dentro invece che vissuti e basta….o forse il contrario?

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