Strane richieste

Faceva un caldo barbino. Me ne stavo ferma ad aspettare l’autobus in via Saragozza con i vestiti appiccati sulla pelle e i pensieri che surriscaldavano la testa. Luglio, secondo me era luglio. Ero in uno di quei momenti di umore ballerino in cui mi arrotolo su me stessa e mi sembra di girare a vuoto, come sulla ruota del criceto. Momenti che sono ciappini della mente: finisce sempre che tracollo nelle domande esistenziali e non mi do mai le risposte giuste, collezionando solo un discreto numero di fatiche emotive.

Alla fermata del 20 arrivò un ragazzo che avrà avuto qualche anno in meno di me e c’aveva una bella faccia – malgrado la magrezza – punteggiata da un’acne tardiva che era un vero peccato perché se no sarebbe stato proprio uno da guardare con piacere.

Mi ricordo che pensai a come si dice delle persone magre così, che si dice “è uno pelle e ossa” e mi sembrava che in quel caso ci fosse la giusta opportunità dato che la pelle e il suo scheletro erano talmente vicini da sembrare un tutt’uno.

Dopo un poco che eravamo tutte e due ad aspettare, lo vidi che cominciò a guardarmi in quel modo in cui si studia il carattere di una persona per capire se è davvero come ti aspetti.

Io me ne stavo assorta nel malmosto ma ogni tanto alzavo la testa di sfuggita e mi accorgevo che il ragazzo era lì, con due occhi enormi puntati sulla sottoscritta.

Naturalmente pensai di piacergli. Una donna, se la guardi con insistenza alla fermata dell’autobus in un pomeriggio di luglio pieno di caldo ci pensa subito che forse è perché l’hai notata e ti fa sangue. Mi sentivo in imbarazzo, tanto che per una sorta di timoroso pudore, tirai indietro un piede e l’altro no.

Quando cominciò a parlare notai subito gli occhi che c’avevano una specie di patina a far da nebbiolina alle sue idee. Notai subito anche la voce a strascico, come una rete solo piena di buchi, e quella voce piena di buchi – me lo ricordo – mi fece subito saltare alle conclusioni.

“Questo qua è un droghello che vuole dei soldi!”.

Il droghello, come lo chiameremo da ora, non trovava le parole:

“Ciao, senti, ti devo chiedere un favore” disse dopo aver incespicato a lungo sul saluto.

Io ero già pronta ad arretrare con l’altro piede, ero già pronta a dire che non avevo un ghello e che – casomai avesse bisogno di mangiare o prendere un treno – ero disponibile ad andare insieme in un bar o al limite alla stazione per fare il biglietto ma che non mi dicesse che gli mancavano giusto-giusto 5 euri perché tanto non glieli davo.

Ma lui non voleva dei soldi.

Lui mi guardò e mi disse che no, di soldi non ne aveva mica bisogno, che grazie a dio i suoi genitori a lui ci pensavano.

Mi disse che lui era stato tanto tempo in una Comunità, mi disse e che si era ripulito per bene.

A me non sembrava molto, ma dato che non sono brava a capire se uno si droga ancora oppure no, mi sentii in colpa per via che ormai io, nei miei pensieri, lo chiamavo “Droghello”.

Il Droghello che diceva di non essere più droghello mi guardò. Rincorse un attimo le parole e poi mi spiegò cosa voleva e perché:

“Devi sapere che i miei genitori mi fanno fare sempre dei controlli, perché hanno paura che io mi faccia ancora, mentre, dai, io non mi faccio più solo che a volte fumo delle canne e loro non capiscono che anche se fumo delle canne, mica è droga no? Le danno anche ai malati di cancro le canne, se le fa anche Pannella e allora perché io non dovrei?”

Dato che anche io ogni tanto mi ero fatta delle canne, pensai subito che ero stata un po’ parruccona a pensare male di quel ragazzo, pensai che stavo diventando un po’ troppo moralista e che ogni tanto avrei dovuto lasciarmi andare, mollare gli ormeggi verso lidi più leggeri.

Però mica capivo cosa volesse il ragazzo che si era ripulito ma si faceva le canne.

“Allora, senti, io avrei bisogno di un piacere. Tu che sei una brava persona mi devi aiutare” e continuò “Io domani ho il controllo delle urine, ma se i miei genitori scoprono che ho fumato della marja finisce che mi chiudono in casa o mi rispediscono in comunità, mentre io l’Ero non la tocco più e in comunità proprio non ci voglio tornare.”

“Allora se te sei una persona per bene come sembri, allora devi farmi questo favore” disse tirando fuori dalla tasca una cosa che non capii subito cos’era ma poi mi parò davanti al naso.

Era una di quelle provette lunghe e trasparenti che ci metti dentro la pipì e poi la porti ai Laboratori, per gli esami.

“Potremmo andare in un bar, è facile, basta che fai la pipì qui dentro. Non se ne accorgerà nessuno” mi disse il mio nuovo amico mentre il phon d’aria calda che veniva dal Colle tirava forte e dietro la nuca il sudore mi bagnava i capelli troppo lunghi.

Ecco io non so bene cosa pensai esattamente ma mi venne molto da ridere.

Un uomo mi aveva appena chiesto di pisciare per lui.

Oltre alla pipetta il mio amico aveva tirato fuori anche delle banconote, erano due ed erano di taglia media e faceva per allungarmele come a costringermi a prenderle.

Io rimasi qualche secondo con la bocca aperta come un baccalà e poi per fortuna arrivò il numero 20.

Mentre salivo e lui rimaneva a guardarmi, come sospinto dalla speranza che cambiassi idea, ho scosso la testa e gli ho detto che mi dispiaceva ma avevo appena bevuto una birra perché ero un po’ d’umore balengo e che secondo me birra e umor balengo insieme non erano garanzia che la mia urina fosse pulita.

Poi, diciamoci la verità, era una bella responsabilità e non ero tanto sicura di volermela prendere.

Sull’autobus ho pensato che nessuno, prima di allora, aveva avuto una fiducia tanto grande e cieca nei miei scarti fisiologici.

8 commenti
  1. la coniglia dice:

    ……
    ……………
    ……………………………………..
    UAUAUHAUHAUHAUHAUHAUHAUHAUHAUHAUHAUHA!!!!
    Panz ma questa è miticaaaaaaaaaaaaaaaa!!!

  2. Anna C dice:

    AHAHAHAHAHAH
    mitica questa! c’è da dire che quando fa caldo aumentano i casi di tipi strani in giro

I commenti sono chiusi.