L’Umanista Informatico secondo me: storia di un matrimonio felice

Nerd innamorati

Il blog di Sergio Maistrello, per chi lavora con le parole e la Rete è una fonte imprescindibile di approfondimento.

Così anche oggi, oltre all’interessantissima analisi su Facebook (da giorni stavo pensando anche io di fare il punto sulla mia personale evoluzione nell’uso di quel social net), grazie a lui ho scovato questo ebook: L’Umanista Informatico di Fabio Brivio e ho ovviamente dato un’occhiata alla titolazione dei capitoli e ai contenuti, dato che mi sono sentita presa in causa.

Mi è venuta anche voglia di parlarne, finalmente, della figura dell’Umanista Informatico verso la quale sembra si inizi a nutrire qualche interesse.

Sono passati quasi 10 anni da quando, raccontando agli amici della mia scelta di frequentare un Master in Informatica e Comunicazione per le scienze umanistiche, tutti mi guardavano come se mi fossi convertita all’Islam.

Mi ero laureata in Lettere, con una tesi in Letteratura contemporanea e avevo intenzione di passare dall’altra parte della barricata? Davvero mi volevo occupare “di computer”?

Durante gli ultimi anni di Università avevo intuito, grazie a un corso di Informatica Umanistica (davvero all’avanguardia per allora) che la Rete, il linguaggio semantico del Web e le implicazioni che avrebbe avuto un nuovo modo di raccontare il mondo e entrare in connessione che Internet offriva, erano strettamente apparentati con le scienze cognitive, la filosofia, la linguistica.

Quel corso cambiò decisamente il corso delle mie scelte. Perché se prima di allora il futuro professionale mi appariva come una nebulosa e l’unica certezza che avevo era che sarei stata parte della folta schiera di laureati in materie letterarie che finiscono disoccupati o che si ritrovano a fare un lavoro lontanissimo dalle proprie aspirazioni, dopo un anno tra html, css  e riflessioni attorno alle conseguenze della struttura associativa del web sul pensiero, capii che quella era la mia strada.

Non fu una strada facile. Non fu solo filosofia o linguistica o scienze teoriche.

Un umanista che ha voglia di lavorare con il web, posizionandosi in quel punto intermedio tra chi si occupa esclusivamente di contenuti in maniera tradizionale e il “nerd” informatico che “sputacchia” codice (come diceva sempre un mio Professore) deve dismettere per un po’ ciò che gli sta più a cuore (le scienze umane), tenendosi cara la struttura del pensiero che ha acquisito negli anni dell’Università, per immergersi in codici di marcatura, programmazione, logiche di progettazione di un database relazionale e deve cimentarsi in materie che lo faranno sentire, spesso, un po’ deficiente.

Come se fosse atterrato su un altro pianeta.

L’informatico guarda all’umanista che si avventura nel suo mondo con scetticismo e a volte disprezzo. Potrai fargli la domanda più intelligente e arguta che abbia mai sentito e la sua prima risposta sarà sempre la stessa e sempre con il medesimo tono: strascicato e annoiato.

“Ma è’ acceso il computer?”

Prima di rompere il muro della diffidenza ci vorrà tempo, sangue e sudore.

L’Umanista tradizionale che ha a che fare con l’Umanista Informatico lo tratta quasi sempre come se fosse un tecnico della Telecom. Dal collega della carta dovrai aspettarti principalmente una sola domanda:

“Mi puoi aggiustare il computer? Ho lo schermo che fa le farfalle…”

I primi anni non sono di vita facile.

In compenso, una volta che avrai bevuto al Sacro Graal della programmazione e avrai costruito almeno un centinaio di pagine in Html strict usando il blocco note (e non qualche editor, che così sono capaci tutti!) per espiare i tuoi peccati di fine italianista, potrai tornare alle parole.

Alle parole del web.

Sarà come una folgorazione e ti renderai conto che hai un bagaglio di conoscenze che è un VALORE AGGIUNTO e che se anche non programmerai mai in php, il fatto stesso di sapere cos’è il php ti rende in grado di dialogare con l’informatico della scrivania accanto senza la sensazione di stare seduto accanto a uno stregone che prepara veleni e pozioni mefitiche.

E se la prima volta lui ti farà sempre quella stessa domanda sul tasto di accensione, poi riuscirai a conquistare la sua fiducia facendogli capire che anche tu hai a cuore accessibilità e usabilità e che conosci benissimo i vantaggi dell’inserimento di un Link relativo piuttosto che assoluto.

Il web si muove in un territorio solo apparentemente lontano alle scienze umanistiche: l’xml è basato sulla Semantica e la categorizzazione gerarchica, avendo molto a che fare con alcuni dei principali orientamenti filosofici occidentali.

La struttura associativa con cui si costruisce la narrazione in Rete ricalca il modo in cui la nostra mente produce le idee ed è molto affascinante studiare i legami che ci sono tra strutture del web e riconfigurazione del pensiero e del sapere.

Da quando esiste la Rete la linearità che aveva acquistato enorme spazio grazie all’invenzione della scrittura ha lasciato margini di crescita al pensiero associativo, molto più di quanto oggi non ci rendiamo conto.

L’Umanista Informatico trova lavoro molto più facilmente e efficacemente dell’Umanista tradizionale. Dieci anni fa in pochi ne intuivano l’importanza ma oggi le principali aziende che si occupano di comunicazione web hanno capito che siamo merce preziosa.

Lavorare con le parole e con la progettazione di siti, blog, social network è una sfida affascinante e devo ammettere che non mi sono mai pentita della mia scelta, credo anzi che sia molto importante certificare questo tipo di figura professionale e farne percepire le potenzialità anche a chi è coinvolto, a vario titolo, nella gestione dei contenuti del web.

Ho voluto scrivere questo post, raccontando la mia esperienza professionale (da stagista schiava in veste di HTMLlista sono passata a editor per poi occuparmi di contenuti e social network, fino a creare progetti complessi che hanno a che fare con la struttura delle reti sociali, come ad esempio donne pensanti) perché credo che oggi, in un Paese dove i laureati sono carne da macello della precarietà, specializzarsi in Comunicazione e Informatica sia una grandissima opportunità per tutti coloro che hanno scelto Facoltà come la mia.

Per dire: io ho sempre avuto opportunità professionali e quando non le ho colte è stata per una scelta personale.

Ho voluto scrivere questo post perché sono felice di constatare che si comincia a parlare di questo tema e non credo sia un caso il fatto che nella stessa settimana trovo il libro di Brivio e vengo invitata a un incontro con i neo laureati in Facoltà Umanistiche dell’Università di Trento per raccontare della mia esperienza.

Ho voluto scrivere questo post perché in Italia l’Umanista informatico è prima di tutto (e spesso solamente) colui che utilizza i mezzi informatici con fini didattici, mentre è importante dare rilievo al contributo che un umanista può dare professionalmente, anche fuori dalla scuola o dall’Accademia, nell’ambito della comunicazione.

Per approfondire:

  • Il post in cui Fabio spiega perché ha scritto il libro L’Informatico Umanistico
  • L‘informatica umanistica secondo wikipedia (è dato ampio spazio all’accezione più comune del termine secondo cui l’umanista che utilizza l’informatica lo fa prevalentemente come strumento didattico)
  • L’articolo Il linguaggio oltre il linguaggio di Massimo Parodi, sulla rivista Informatica Umanistica (Parodi è il professore che nel 200o diede vita al Master che ho frequentato, presso l’Università di Milano)
  • Sito ufficiale della Facoltà di Informatica Umanistica dell’Università di Pisa (l’unico corso di laurea attualmente in Italia che si occupa di Informatica Umanistica)
9 commenti
  1. panz dice:

    @brain: grazie a te che sei sempre molto carina. se hai voglia di raccontare la tua esperienza, mi farebbe piacere condividerla qui nei commenti o su friendfeed

  2. Brain dice:

    Eccomi! 🙂 Dopo aver preso la laurea in Lingue e Letterature straniere, ho avuto una fortunata illuminazione che mi ha messo sulla strada giusta. Con il mio bel pezzo di carta non ero infatti né carne, né pesce, e non volendo fare l’insegnante – che sarebbe poi stata la scelta più consona al titolo di studio – ho iniziato a guardarmi in giro per capire cosa si stesse muovendo nella realtà lavorativa. Non ero proprio digiuna d’informatica, visto che l’avevo studiata alle superiori (programmavo in basic! roba da preistoria :)), e dopo una veloce infarinatura sui nuovi sistemi operativi, mi sono orientata sui corsi di formazione organizzati dalla mia provincia e finanziati dall’Unione Europea. La mia scelta è caduta su “Operatore della comunicazione online”, che nel 1997 voleva dire tutto e niente, ma era sicuramente un primo approccio alle nuove tipologie di comunicazione che stavano nascendo con la diffusione di Internet e, soprattutto, del Web.
    Mi è andata bene, perché da allora sono sempre riuscita a far fruttare lavorativamente quei sei mesi di corso. Dopo uno stage di due mesi a Milano presso un’azienda che produceva Cd-rom, ho fatto una breve esperienza in un’azienda di localizzazione software, unendo quindi la mia preparazione linguistica con quella tecnica. Poi ho collaborato per alcuni anni con una casa editrice abbastanza importante a livello nazionale, occupandomi delle traduzioni per la versone italiana di un sito Web americano dedicato a Internet, finanza e tecnologia. Sono poi passata ad una realtà locale più piccola, in cui, oltre ad aggiornare una serie di piccoli siti tematici, facevo parte della redazione della Rete Civica (un progetto a cui sono molto legata, che mi ha permesso di formarmi anche sul piano dell’accessibilità e usabilità del Web). Attualmente, mi occupo dell’aggiornamento dei siti del settore sanitario della mia regione.
    Se dovessi definire la mia figura professionale direi “Web content editor”, anche se conto di migliorarmi ulteriormente, arrivando magari a scrivere personalmente i contenuti oltre che ad inserire quelli prodotti da altri 🙂

  3. Sara dice:

    Certo che però è ben triste che cose che son sempre fatte da persone siano tutt’ora suddivise tra umaniste e altro. Specie quando una quantità gigantesca di persone ritiene ancora che le parole stiano agli angeli come i numeri ai diavoli…
    Eh, beati i tempi di Gadda, quando per esser ingegneri serviva pure saper scrivere in italiano, beati tempi ancor più antichi in cui per essere filosofi occorreva saper far di conto e leggere le cose della natura :)!
    (io da grande vorrei riuscire a fare l’ingegnera umanista 😛 )

  4. Panzallaria dice:

    @sara: hai perfettamente ragione. l’occidente ha diviso quello che poteva stare benissimo unito creando il sapere settoriale. Un tempo il barbiere era pure dentista, per dire, ora andatelo a raccontare al medico tronfio…

  5. rocciajubba dice:

    Ok, a metà mi sono persa nei meandri tecnici.
    Io sono un nerd.
    Sia della linguistisca, che della semantica che del codice di cqualunque tipo.
    Però vi ammiro un sacco.
    Avete aperto un mondo e come mi capita quando vado in una fabbrica che magari produce l’interno dei volanti dei carrelli elevatori e tu MAI sulla terra penserresti che possa esistere chi campa così (e fa campare decine di persone alle sue dipendenze)…ecco proprio come in quei casi mi si apre il cuore e il cervello e la meraviglia a pensare a quante cose noi utilizziamo giornalmente (ad esempio un sito web…magari di un portale sanitario regionale a cui accediamo in centinaia di migliaia ogni giorno) senza capire quanto enorme, faticoso e splendido lavoro ci sia dietro.
    Ecco…io questa consapevolezza che mi vien fuori la adoro!

  6. Alessandra dice:

    Grazie per il post, cara Panz.
    E’ un po’ il percorso (solo un po’ meno tecnico) che ho fatto anch’io proprio negli ultimi dieci anni.
    Un abbraccio,
    Alessandra

  7. Marco dice:

    Ho appena finito oggi di leggere il libro di Brivio e casualmente sono capitato qua. Devo dire che mi riconosco parecchio in ciò che hai scritto perché anch’io, laureato in Lettere nientemeno Classiche, per lavorare ho dovuto iniziare da zero imparando il codice html. Era la metà degli anni ’90 e allora l’informatica umanista era niente altro che un ossimoro linguistico (e concettuale).
    Da lì in poi non ho più abbandonato il web, e anzi ora ci passo un sacco di tempo, tra lavoro, aggiornamento e piacere personale.
    Quindi come dici tu, l’esperienza mi è servita moltissimo e anche ora che lavoro nell’editoria, dove ormai la rotta va sempre più verso il digitale, devo dire che mi trovo sicuramente meno spiazzato di altri colleghi che incontro ai corsi di aggiornamento e che vedo strabuzzare gli occhi solo a sentire parlare di blog, twitter o – udite udite – ebook.

    Un saluto e buona fortuna!

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