Vanno in onda le nostre illusioni

Io glielo dico sempre al Tino che non deve bere troppo che se no poi ci diventa logorroico, ma ci sono giorni, tipo sabato, che non è mica facile.  In fermento per le notizie politiche,  in attesa che il Nano uscisse dalla Casa (sembrava davvero una puntata di un reality – l’orario era quello – la concitazione che cresceva e l’orologio che girava), noi avevamo amici a cena e lui, lui beveva a destra e manca. Tutto eccitato mentre tra i fornelli preparava ben di dio. Che nel pomeriggio è andato al supermercato e sempre in questa spasmodica concitazione da giornata storica, ha deciso che doveva portarsi a casa TUTTO. Mancava solo che scaricasse i bancali del negozio da quella macchina piena come un uovo! A me per poco non è venuto un attacco di asma fulminante a portare su tutte quelle sporte. Mi sono anche preoccupata, mi sono. Credo che non abbia lasciato niente per nessuno, talmente era tanta la roba che fuoriusciva da ogni buco.

“Ho anche dovuto lottare con una vecchietta per l’ultima confezione di Cuchident!” mi ha confidato mentre trasferivamo il TUTTO in frigorifero. Delle volte mi fa davvero ridere.

E comunque dicevamo, c’era questa atmosfera frizzantina, questa voglia di festeggiare anche se sappiamo tutti che non c’è proprio niente da festeggiare, che il Nano sarà pure uscito dalla Casa, ma solo per andare a fare l’aiuto regista occulto, quello che passa i cartelli ai “ragazzi” e che la nostra situazione di italiani non è poi delle più rosee.

Che se uno si mette a pensare bene, di sacrifici ne dovremo fare tutti e a pensarci bene, ti vengono in mente certe immagini preconfezionate e cotte che fanno parte di un immaginario collettivo che è diventato uguale modo di raccontare e che arriva diritto dai nostri nonni: “A quel tempo si faceva proprio la fame!”.

Ma poi ti guardi intorno e ci sono tanti Tino che vanno a fare la spesa e comprano di tutto, che tanto, tanto che cazzo di senso ha mettere in banca se abbiamo due lire e quelle due lire forse ce le tassano pure e tanto il lavoro chissà se dura e tanto chissà domani dove saremo e tanto chissà se noi vedremo mai la pensione e allora sai che faccio?

Faccio che vado a ristorante. Faccio che mi finisco i soldi in vacanza.

Faccio che invito gli amici a cena. Che ogni tanto bisogna aprire una boccia* (*bottiglia) e poi bisogna fare pur finta che tutto vada bene, sia perfetto e ci sia molto da festeggiare, mentre l’inviata del tiggì scambia un “Buffoni” urlato come si fosse allo stadio, per il cognome del Nano.

Io glielo dico sempre al Tino di fare attenzione, che beve e poi parla, parla, come quella volta che sono venuti a cena i vicini e mica sono riusciti a dire una parola, mentre lui gli raccontava per filo e per segno la storia del loro paese, come se lo spirito di SuperQuark l’avesse indemoniato.

Ma ci sono delle volte che bisogna lasciare fare, bisogna lasciare che il tempo si metta in mezzo alle cose e alle persone, bisogna sedersi ed aspettare e guardare e ascoltare e passare delle belle serate, che in tutta questa corsa ad ostacoli che è la vita, un bello spettacolo in prima serata, dove vanno in onda le nostre speranze e illusioni, ogni tanto bisogna pure che ce lo guardiamo.

E cosa c’è di meglio che farlo con gli amici, una buona bottiglia di vino e un’ottima cena?

 

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