Opporre resistenza

Oggi pensavo che anche il 25 aprile potrebbe essere come Capodanno, un’occasione per fare lalista delle cose che vorremmo cambiare in noi. Pensavo anche che tutta la retorica intorno al 25 aprile, con relative strumentalizzazioni da una parte e dall’altra mi da un po’ su i nervi ma che ultimamente mi sono abituata come a farmi scivolare addosso le cose che mi danno sui nervi.

Mentre ascoltavo i bambini del Coro R’Esistente del Pratello, oggi pensavo anche che quella retorica degli ideali di libertà e uguaglianza tra le persone dovrebbe essere spogliata da tutti i nostri intellettualismi e riportata tra le persone come se ad ascoltarla fossimo tutti i bambini. La parola “speranza”, per esempio, in bocca a un bambino, nella sua testa, secondo me assume forme che un po’ noi ci siamo dimenticati.

E poi mentre tutta quella gente intorno, percorrevo con la mia famiglia via del Pratello e ogni 2 passi ci fermavamo perché incontravamo qualche amico, qualche conoscente, qualche persona simpatica persa per strada nella quotidianità ma che fa sempre piacere fermarsi a salutare, pensavo anche che ha ragione quella persona che ho appena conosciuto e che facciamo ogni tanto dei viaggi insieme verso Reggio Emilia per un lavoro (forse), quando dice che uno dei problemi di questo tempo è l’egoismo e anche suo fratello egocentrismo e che questi 2 si impossessano di tutto, perfino del modo in cui cresciamo i nostri figli, del modo in cui parliamo con le persone ogni giorno, del modo in cui lavoriamo e stiamo sui social network e così via e fanno da filtro a un vivere bene la nostra esistenza.

Pensavo che tutti i giorni per me dovrebbero essere come il 25 aprile, che scendo in una strada colorata piena di bambini e persone e mi fermo ad ascoltare le loro storie, con la calma dei giorni di festa. E ogni tanto si sentono canzoni piene di ideali, cantati da bambini che ideali non hanno, senza tutte quelle strutture degli adulti, e così quegli ideali diventano parole concrete e vere.

Pensavo anche a quando credo di lavorare troppo, di avere una vita difficile e così dico agli amici che sono stanca e che lavoro troppo ed è un po’ implicito che intendo dire che forse lavoro più di molte altre persone e che forse è difficile capire per chi non lavora tanto come me. O quando, non so, qualcuno sta male e allora se mi chiedono come sta, come va con questa persona che sta male, io racconto e faccio anche un po’ la vittima perché dentro di me mi sento come una molto sfigata che c’è del male intorno che quando c’è qualcuno che sta male intorno, sembra sempre che la tua vita sia la più scalognata del pianeta.

Insomma pensavo che adesso basta, che poi questo modo egocentrico e ombelicale di vivere non fa solo male a me ma ha delle conseguenze, che poi finisce che penso che mia figlia è la bambina più speciale del pianeta (non solo per me, che è ovvio che per me lo sia) e che magari mi concentro solo a cercare di farle avere il meglio e invece il meglio (il meglio di che, poi?) non è che sia per forza necessario nella vita di una bambina e nemmeno di un adulto, ognuno ci ha le sue dosi di meglio e peggio e deve imparare a gestire entrambe.

Pensavo che voglio opporre un po’ di resistenza a questo moto continuo dell’egocentrismo che prende il sopravvento e che se è vero che è il male del secolo, è pur vero che noi non dobbiamo per forza spalancargli la porta.

Pensavo anche – mentre tornavamo a casa in bicicletta dal Pratello – che l’esistenza delle persone ha un senso solo se contempla l’esistenza dell’Altro.

Non lo so se ho pensato giusto, oggi 25 aprile 2013, ma sono tornata a casa più leggera. Senza stare tanto dietro a tutte le ciance della politica, le dichiarazioni e quanto ogni anno ci propina questa giornata. Che ognuno può fare la sua resistenza e se ascoltiamo ognuno la resistenza dell’altro, vedrai che lo cambiamo questo mondo.

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