Quel che ho imparato in vacanza: di ritmi

Per la prima volta da quando ero bambina, sono stata in vacanza per più di 20 giorni consecutivi. Merito del camper, che ci permette di economizzare al massimo perché non abbiamo bisogno di altro che di un parcheggio decente, volontà familiare ché avevamo molto bisogno di riconcilarci con ritmi fatti di noi.

Il nostro lunghissimo tour è iniziato in Toscana ed è finito in Puglia, ma non è di luoghi che voglio parlare ma di quello che ho imparato in questo periodo.

Staccare: ho staccato la spina dagli impegni, ho staccato la spina dal ruolo. Ognuno di noi, nel quotidiano, ha un ruolo, impersona una maschera sociale e ogni tanto appoggiarla per riprendere contatto con il proprio sé e con i propri affetti è fondamentale. La mia maschera sociale mi piace proprio perché mi concedo il lusso, ogni tanto, di toglierla. Niente libro, niente Panzallaria, niente di niente se non un paio di sandali, 3 vestiti comodi, un costume da bagno e una bicicletta. Mi ero detta che durante questo periodo avrei messo giù le idee per alcuni progetti di lavoro che ho, ma non l’ho fatto. Ho – consapevolmente – aperto i rubinetti del “qui e ora” seguendo il flusso dei pensieri. Ho letto romanzi, non manuali, ho scritto frasi spezzate su un quaderno e ogni tanto mi sono lasciata invadere da qualche illuminazione.

Ascoltare: ho ascoltato il mio corpo, il mio stomaco e ho tentato di ascoltare Frollina e Tino, compagni di vita e di viaggio. Quanto tempo era che non passavamo tanti giorni sempre insieme? Da quando non ero io ad adeguare i miei ritmi a quelli di mia figlia? La sua chiacchiera incontenibile, la sua svagatezza, le sue idee (“Mamma scriviamo una favola? Tu scrivi e io disegno!”). Abbiamo raccontato e letto storie, abbiamo fatto bagni in luoghi nascosti, cercando tuffi lontano dalla folla, da uno scoglio illuminato dal sole. Ho corso pochissimo, malgrado tra poco più di una settimana mi aspetti la mezza maratona, malgrado sapessi che “dovevo” correre. Niente dovere, solo piacere. Ho mangiato molte cose buone, a volte ho mangiato più di quello che avrei voluto e alla notte mi sono sognata di essere tornata 102 chili. E dunque ho ascoltato la mia paura, quella onesta e sana ansia di vanificare gli sforzi degli ultimi anni. Ma ho tentato anche di domarla quella paura, di non diventarne schiava: anche questo fa parte della muta, è lo step 2 del mio percorso. Chi è stato obeso lo sa: dentro sarai sempre una cicciona e il terrore che quel nucleo morbido di ansia e insicurezza e impotenza possa di nuovo uscire a testa alta c’è, rimane, bisogna conviverci. Ma occorre anche razionalizzare: ho uno stile di vita sano, mi muovo molto, mangio cose genuine e non possono certo essere 20 giorni in cui mi sono concessa qualche “scappatella” felice a cancellare con un colpo di spugna il cambiamento.

Ho ascoltato anche lo stress, quello che ti porti appresso nei primi giorni, dopo che hai deciso di chiudere per un po’, quello che ti fa passare giornate incazzose e non sai mica perché. Forse deve spurgare quello stress, come una piaga infetta di pus. Lo devi lasciare uscire con tutte le implicazioni del caso, le fisse, i patemi, gli inutili guazzabugli del pensiero. Mi sono aggrovigliata per un po’ e poi sciolta, come se la mente – d’un tratto – avesse scelto di farsi abitare da un criceto con l’unico obiettivo di salire su una ruota tutto il giorno.

Ho ascoltato le persone intorno, il mondo e la varia umanità che gira e gira e tu di solito ne vedi solo la fettina che ti vive accanto. Mi sono sentita a tratti snob, a tratti una tamarra da competizione. Ho avuto qualche scatto di intolleranza e agorafobia e qualche sorriso e voglia di socializzazione semplice, attorno a una birra, davanti a un panorama a Cisternino.

Ho ascoltato i luoghi, quelli carichi di storia (Tivoli, Paestum, Pompei) e quelli carichi di madeleine. Mi sono rivista in un mare cristallino della Puglia, una me bambina che corre in un grande campeggio profumato di aghi di pino. Ho rivisto quella volta che mi sono cagata addosso in mare e non avevo 3 anni ma l’età di frollina. Volevo rimanere a mollo per giocare con gli amici, mi scappava la cacca ma la pigrizia era troppa e a un tratto, in mezzo al mare, l’ho fatta. C’era questo stronzo enorme accanto a me, io mi vergognavo tantissimo e – ovviamente – negavo che quel coso fosse mio, ma lui mi seguiva anche se io tentavo di scacciarlo, allontanarmi velocemente a nuoto, come un cagnolino fedele che non si stacca dalla sua padrona. E ho pensato che quella volta avrei potuto imparare un’importante lezione: la tua merda non ti abbandona, devi farci i conti.

Ci ho ripensato a quella volta lì, guardando mia figlia con le mani palmate pur di rimanere in acqua a giocare con la sua amichetta delle vacanze.

Tornare: ho imparato anche a tornare. La gioia di essere di nuovo a casa, il gusto di pensare che iniziano nuove sfide, che mi aspetta un periodo intenso, che mi aspettano obiettivi intensi. E ho imparato che anche tornare implica della fatica, non fosse altro che prima di partire ci siamo chiusi fuori di casa, che la porta era bloccata con una chiave spezzata dentro alla spranga e per tornare in casa abbiamo dovuto chiamare un fabbro che in 2 ore ci ha trapanato la porta: e che gioia rivedere la mia stanza a quel punto lì! Sempre si deve tornare, partire è questo, un modo per poi tornare più consapevoli. A volte non si torna nello stesso luogo, ma di sicuro ogni tanto è necessario tornare alla propria vita, per apprezzarla ancora di più.

Non so se avrò di nuovo la fortuna, il prossimo anno, di farmi vacanze così lussuose: ho imparato che nulla è scontato, specie se non hai mica uno stipendio fisso. Ho imparato che è bello cogliere l’occasione, scrutarla dentro e trovarla sempre preziosa e questa è stata un’occasione preziosa.

Ora si inizia. Di nuovo. Non ho sogni, non ho propositi, ho solo tanti obiettivi. Li sto mettendo in fila, uno dopo l’altro. Conoscendomi, avranno tempi diversi da quelli che mi sto dando, ma se c’è una cosa che ho imparato soprattutto è che quasi tutto è a portata di mano, basta spezzare le pesanti catene del pensiero che spesso ci infiliamo nella testa.

E poi basta anche accettare un fatto: quel che vale per me non vale per te, quel che vale per te, non vale per me e anche se la nostra destinazione è comune, probabilmente prenderemo strade diverse per arrivarci.

Buon settembre a tutti e se volete venire ad ascoltarmi a qualche presentazione, sto aggiornando il calendario passo a passo. Sarò spesso in viaggio nei prossimi mesi, mi tocca imparare a non stare ferma.

Perché essere felice quando puoi essere normale? J. Winterson

 

 

3 commenti
  1. polepole dice:

    Questo è uno di quei post da ricordarsi per quando verranno i momenti bui (perché verranno, lo sappiamo). Per me quest’anno parte senza progetti importanti, aperta a ogni possibilità, con la testa sgombra da pensieri e idee fisse, che ti bloccano l’anima.
    Ho imparato il Tempo, l’ho dedicato a chi lo meritava di più, l’ho ritrovato (e sto imparando a mantenerlo) nella vita normale. Mi sembra già un gran obiettivo raggiunto, quello del tempo, chissà dove arriverò di questo passo!

    (e anche se arriverò in nessun luogo, l’importante sarà stato il viaggio)

    Grazie per le tue parole.

    • Panzallaria dice:

      È vero: imparare il tempo (anche accettare che passi) é un obiettivo grandioso. Grazie per averlo condiviso

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